In altre forme
Poche cose influenzano negativamente la capacità di comprendere il mondo come il sostanziale antropocentrismo che attrae il nostro pensiero come il Maelström di Edgar Allan Poe attrae le navi.
Di esempi ne abbiamo quanti ne vogliamo: i millenni durante i quali ci siamo pensati al centro dell’universo, il rapporto con la natura vista come entità esterna oppure l’auto posizionamento al vertice dell’evoluzione. Questo aspetto è così radicato in noi e ci allontana così tanto e per così tanto tempo dalla realtà delle cose, che quando siamo riusciti a strapparci di dosso il punto di vista antropocentrico, ne sono scaturite scoperte e conseguenze importanti, talvolta rivoluzioni radicali della nostra visione del mondo. Il concetto di intelligenza ricade, inevitabilmente, in questa categoria. È un concetto così intimamente legato all’immagine di noi stessi da rendere difficile riuscire a parlarne da un punto di vista non antropocentrico, impedendoci di vedere con chiarezza l’essenza della questione.
Oggi probabilmente iniziamo a capire meglio cosa sia l’intelligenza. L’avvento di macchine in grado di svolgere calcoli sempre più lunghi e complessi e, soprattutto, in grado di analizzare enormi quantità di dati, ha portato allo sviluppo di forme di intelligenza che abbiamo definito artificiali, create imitando delle funzioni umane che colleghiamo all’uso dell’intelligenza, che vanno dal fare dei calcoli alla traduzione di testi, dal riconoscere una immagine alla scrittura di un codice.
L’idea di costruire macchine intelligenti si fece avanti non appena Turing definì i principi del calcolo digitale e si è sviluppata a partire dalla seconda metà del secolo scorso: ha avuto una serie di alti e bassi, di deliranti entusiasmi seguiti da invernali delusioni. Gli sforzi di descrivere in modo teorico e rigoroso il linguaggio umano per realizzare macchine capaci di esprimersi in maniera compiuta e di capire il senso delle frasi, la cosiddetta IA logica, sono però falliti. Allo stesso modo tutti i tentativi di riprodurre il funzionamento del cervello umano utilizzando calcolatori sempre più complessi e potenti non hanno avuto successo.
Molte volte il progresso si costruisce sulle rovine dei fallimenti. A mano a mano che la potenza di calcolo aumentava, una parte dei ricercatori iniziò a orientarsi in una direzione diversa da quella classica, focalizzandosi su obiettivi specifici, a prima vista meno interessanti ma molto concreti, lasciando perdere questioni che prima erano ritenute fondamentali ma che sono difficili da definire. In particolare, si ridusse notevolmente il perimetro del concetto di intelligenza introducendo quello di agente intelligente, definito come un sistema che interagisce con l’ambiente usando le informazioni che raccoglie. Esso compie azioni autonome per raggiungere degli obiettivi e può migliorare le proprie prestazioni con l’acquisizione di conoscenze. In questo contesto si può allora definire l’intelligenza di questi agenti come la capacità di comportarsi in modo efficace in situazioni nuove.
Un termostato o un altro sistema di controllo è considerato un esempio di agente intelligente, così come un essere umano e qualsiasi sistema che soddisfi la definizione, come un’azienda, un motore di ricerca o un bioma. L’aver messo l’intelligenza umana nella stessa categoria di quella di un termostato sembra a prima vista una cosa assurda: in realtà si tratta di un passaggio fondamentale, una semplificazione che spazza via riferimenti culturali o ideologici, identificando alcuni aspetti generali che caratterizzano l’intelligenza e permettendo di sviluppare algoritmi per raggiungere gli obiettivi degli agenti, rendendoli quindi intelligenti.
Un altro passaggio decisivo, introdotto dallo statistico russo Vladimir Vapnik negli anni Settanta, ha accompagnato questa semplificazione relativa alla definizione di intelligenza: l’introduzione di metodi statistici che identificano e usano la regolarità di certi pattern all’interno di sequenze di dati per predire osservazioni future relative agli stessi dati.
L’introduzione dell’agente intelligente unitamente alla disponibilità di grandi quantità di dati, vale a dire delle informazioni con cui l’agente interagisce con l’ambiente, è tutto quello che serve per creare ChatGPT. Questo algoritmo, dopo essere stato formato con enormi quantità di dati provenienti dal web, è in grado di produrre su base probabilistica la parola successiva di una sequenza di parole, generando così frasi sensate. L’algoritmo iniziale di ChatGPT 3.5 è stato allenato definendo 147 miliardi di parametri, usando testi provenienti dal web ed è in grado di rispondere sensatamente alla stragrande maggioranza delle domande che vengono poste da esseri umani. Talvolta mente, talvolta bluffa, ma mediamente dà risposte plausibili, in tempi brevissimi e di qualità sorprendente.
È importante notare che tutti gli algoritmi generativi che si sono succeduti negli ultimi anni per generare testi, musica, immagini, fotografi e, codici ecc. sono costruiti allo stesso modo! La semplificazione della definizione di agente intelligente e l’accettazione del risultato indipendentemente dal metodo con cui è stato ottenuto (per esempio assenza di ragionamento nel caso della creazione di testi, assenza di capacità artistiche nel caso delle immagini) sono i sorprendenti ingredienti di questo successo.
È intelligente ChatGPT? Verrebbe voglia di rispondere di no, pensando a una serie di caratteristiche dell’intelligenza umana che ChatGPT non ha, per esempio quella di non saper procedere pensando all’obiettivo della frase come fanno gli esseri umani, calcolando invece probabilità derivate dalla parola precedente, come fosse un gambero. Oppure al fatto che senza una enormità di esempi forniti da esseri umani questo algoritmo semplicemente non funziona.
Ma se pensiamo alla definizione di agente intelligente appena discussa, certamente ChatGPT è un agente intelligente in quanto procede nell’ambiente dell’interazione verbale con metodi statistici che gli permettono di influenzare l’ambiente stesso raggiungendo i risultati per cui è stato costruito. Situazione sintetizzata nel sottotitolo del fondamentale libro “La scorciatoia” di Nello Cristianini, “Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano”.
Mettere a fuoco meglio cosa sia l’intelligenza ci aiuta anche a capire come sia improbabile che due agenti intelligenti, operanti in ambienti diversi, o nello stesso ambiente ma con obiettivi diversi, possano comunicare tra loro, in altri termini, possano capirsi. Questo vale per l’uomo nei confronti di altre specie viventi, ma vale in realtà nei confronti di una qualsiasi intelligenza aliena, dove per intelligenza aliena non si intende proveniente da un altro pianeta, ma semplicemente operante in un ambiente e con
obiettivi altri rispetto ai nostri. In barba a Carl Sagan e alla piastra portata dal Pioneer o al disco d’oro portato dal Voyager per rappresentare elementi culturali che potessero essere compresi da forme di intelligenza aliena. La probabilità che un agente intelligente alieno capisca qualcosa di quei manufatti è pari alla eventualità che li capisca una lumaca terrestre, cioè zero. Così come anche Enrico Fermi che si chiedeva “Dove sono tutti?” e Frank Drake che trasformò questa domanda in una equazione formata da diverse probabilità che si moltiplicano l’una con l’altra potrebbero trovare una risposta riguardo all’assenza di messaggi intellegibili provenienti dall’universo. Uno dei parametri dell’equazione di Drake, infatti, è la probabilità che si sviluppi su un pianeta una specie intelligente: ma anche se ciò accadesse e questa specie fosse un agente intelligente con una intelligenza completamente diversa dalla nostra, i segnali potrebbero non toccarsi mai. L’universo potrebbe quindi pullulare di agenti intelligenti strettamente invisibili l’uno all’altro.
La stessa comprensione di come “pensi” ChatGPT, attraverso quali stati interni passi questo algoritmo zeppo di parametri e reti neurali, è con ogni probabilità impossibile, nonostante sia evidente la semplicità dei passi algoritmici seguiti per realizzare la fase di allenamento e di estrazione delle parole e delle frasi.
Quindi, anche se capiamo la risposta di ChatGTP a una data domanda, non capiremo mai cosa sta dietro a questa risposta. Motivo in più per tenere le macchine al giusto posto nel contesto umano, in modo che la loro intrinseca alienità ci permetta di ottenere vantaggi senza correre troppi gravi rischi. Tutto da dimostrare che ci riusciremo, ma certamente una sfida di cui vale la pena discutere seriamente.
Usando il concetto di agente intelligente possiamo analizzare altre forme di intelligenza presenti in natura, associate ad agenti, animati o inanimati, ambienti, materiali o immateriali, e obiettivi diversi, identificandole, classificandole, analizzandole. Capendo meglio quali sono le condizioni che ne determinano l’emergenza. Scoprendo l’abbondanza di intelligenze attorno a noi, senza dovere cercare improbabili segnali provenienti da altri pianeti o galassie. Allo stesso tempo realizzando quanto sia probabile la reciproca incomunicabilità fra diverse forme di intelligenza, e quindi fra diversi agenti intelligenti. Un percorso che ci porta per una volta lontano dall’attuale onnipresente discussione sull’intelligenza artificiale, progettata dall’uomo per imitare quella umana come uno specchio o una statua di cera ne imita l’immagine o la forma.
In questa esplorazione, l’intelligenza umana non è più il riferimento di tutte le intelligenze possibili, ma semplicemente una implementazione fra le tante, affascinante, certo, ma come possono esserlo altre forme di intelligenza più o meno sofisticate, dai comportamenti collettivi delle formiche a quelli delle api, passando ai comportamenti individuali e sociali dei bonobi, ma anche all’economia, alla rete del web e a molto altro.
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