Ho visto una mappa rotante
Hangar Torino: storia dell'aviazione italiana racchiusa in velivoli storici.
C'è un contenitore di metallo sotto la fusoliera di un Panavia Tornado del 1979 dalle lamiere di color grigio-azzurro. In un lento sgocciolìo, il contenitore raccoglie l’olio e gli altri fluidi che continuano a circolare in questo aeroplano che non vola più. A distanza di anni, scorrono flussi di vita, tracce della capacità di sfidare la gravità, una specie di potenzialità contratta che si percepisce. È in questo hangar dal 2015 per raccontare sé stesso a chi viene a trovarlo.
Nell’hangar ci sono altri cinque velivoli. Il visitatore, osservando da vicino un aereo, può percepirne l’anima, quasi una natura senziente. C’è una stratificazione di imprese, di sentimenti, di storie che li hanno portati a volare, a superare record. L’Hangar Velivoli Storici del sistema museale della Divisione Velivoli di Leonardo si trova a Torino, una delle capitali – non l’unica – dell’aviazione italiana. Si sente il genius loci di una città pioniera della manifattura nazionale. Qui si compie il primo volo di un aereo italiano: è il 13 gennaio 1909, siamo sui prati di Mirafiori, a bordo del Triplano Spa-Faccioli, ideato e costruito a Torino dall’ingegner Aristide Faccioli, ex direttore tecnico della Fiat. Ed è qui che l’ingegner Franz Miller, nel 1908, apre la prima fabbrica di aeroplani, in Via Legnano 9, promettendo, in un manifesto pubblicitario dell’epoca, di eseguire «qualsiasi macchina per volare dietro semplice schizzo: aeroplani, ortotteri, elicotteri, dirigibili». Pochi anni più tardi, nel maggio del 1916, l’ingegner Ottorino Pomilio fonda la Società Anonima per Costruzioni Aeronautiche ing. Ottorino Pomilio & C., con sede in Corso Francia (esattamente dove oggi sorge lo stabilimento di Torino di Leonardo e dove ancora troviamo il capannone originario dell’epoca) e il 10 luglio 1916, per il collaudo dei suoi aerei, inaugura quello che è conosciuto come Aeroporto Torino-Aeritalia.
È l’incipit di una storia che vedrà decollare su queste piste i prototipi progettati dai padri dell’aeronautica nazionale: Pomilio, Verduzio, Ansaldo, Rosatelli, Gabrielli, solo per citarne alcuni. Tutto è partito da qui e qui ritorna, come ci raccontano i seniores della Divisione Velivoli. Sono loro – ex operai, tecnici, programmatori, progettisti, manager – che tengono viva questa eredità, offrendo tempo, competenze e soprattutto passione: tanto forte da spingerli a voler restare fisicamente vicini agli oggetti del loro lavoro, anche dopo aver concluso il proprio percorso professionale. E sono loro, attraverso racconti, aneddoti che condividono, a riportarci l’immagine di una iniziativa che nasce non solo per conservare e far conoscere le testimonianze dell’evoluzione di questo settore, ma anche per riportare a casa, dopo anni di volo, prodigi della tecnologia e dell’ingegno ideati, costruiti e decollati per la prima volta esattamente qui. Esiste un’intimità, un legame di affetto indissolubile tra le cose e coloro che le custodiscono. Il legame si avverte conversando con chi se ne prende cura.
Mentre si cammina tra reperti storici perfettamente conservati, ci si rende conto che questa è una esperienza visiva e di ascolto, ma anche tattile: la fibra di carbonio dell’Eurofighter Typhoon, che consente al velivolo di viaggiare con una struttura resistente ma leggera al doppio della velocità del suono, o il legno e la tela dell’elegantissimo SVA-9 del 1918 – esattamente quello impiegato da Gabriele D’Annunzio nella sua trasvolata su Vienna – o il metallo del G-91: una macchina fondamentale dell’industria aeronautica nazionale, primo aereo a reazione prodotto in serie in Italia dopo la seconda guerra mondiale.
Quando ci troviamo di fronte al dimostratore tecnologico Sky-X, scopriamo di essere stati i primi in Europa, nel 2005, a far volare un aereo senza pilota con propulsione a getto. E dunque, quello che sembrava un luogo di memoria e conservazione, ci proietta in realtà nel futuro, perché siamo messi in condizioni di vedere un’anticipazione degli scenari tecnologici dei prossimi trenta, quarant’anni.
In questa dimensione – tra testimonianze di traguardi raggiunti e segni di futuro – nasceva nel 2013 il progetto del sistema museale, partendo dal recupero di due prototipi abbandonati, un Eurofighter e un AMX, sulla pista di Caselle-Sud. Concepito inizialmente come una iniziativa di comunicazione interna per valorizzare e rafforzare il legame dei dipendenti con l’azienda, il Museo ha aperto le sue porte alle persone della Divisione Velivoli di Leonardo nel 2015, dopo due anni di paziente restauro, anche con l’aiuto dei volontari del GAVS (Gruppo Amici Velivoli Storici) di Torino. La risposta dei visitatori è stata molto incoraggiante, e ha subito valicato i confini aziendali, coinvolgendo il territorio e gli appassionati del settore, aviomani da tutta Europa. E dall’altro lato, la consapevolezza di trovare qui un luogo dedicato alla tradizione e alla cultura aeronautiche ha spinto pian piano persone e amatori a dare il proprio contributo, arricchendo la collezione con i reperti in loro possesso.
Oggi il museo fa parte del sistema degli archivi storici e dei musei aziendali di Leonardo (Museo Agusta, Museo Breda Meccanica Bresciana, Centro di Documentazione Archivio Storico OTO Melara, Museo WASS, Museo delle Officine Galileo, Museo del Centro Spaziale del Fucino Telespazio, Museo del Radar), coordinati da Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine. È la storia di una grande opera di recupero di un patrimonio di tecnologie e competenze nate e sviluppatesi su un territorio, che è ora a disposizione di studiosi e ricercatori. Non solo velivoli, ma anche strumentazioni d’epoca, disegni tecnici, progetti originali, fotografie, microfilm, manualistica, carteggi: 58.000 articoli.
Tra questi, a catturare in particolare l’attenzione del cronista, c’è un oggetto ritrovato per caso e donato al Museo da un dipendente dell’azienda. È una mappa cartacea. Riporta una data, 15 marzo 1917, la rotta da seguire durante il volo (evidenziata con inchiostro blu) e altre annotazioni su aree vicine al tracciato. Grazie al confronto tra questo reperto e diverse immagini d’epoca, gli esperti hanno stabilito che si tratta di una mappa rotante: cioè una serie di cartine di navigazione arrotolate su dei rocchetti e appese al centro del cruscotto della cabina, per consentire ai piloti di scorrerle avanti e indietro e impiegarle con maneggevolezza durante il volo per verificare il tragitto.
È la testimonianza di un’epoca ancora lontana dal GPS e dagli odierni navigatori satellitari, ma che già si confrontava con la necessità di affrontare un viaggio ad alta quota e di seguire una rotta sicura. È la vita che continua a scorrere e si racconta attraverso carte, materiali, calligrafie sbiadite. L’anima delle cose tramanda la storia.
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