Metaverso e Metaversity: l'educazione al tempo della realtà virtuale
Educazione immersiva
Poiché somiglia – anche nei suoi risvolti semantici – alla parola “metafisica”, il metaverso porta con sé l’eco di una lingua antica. È qualcosa che è al di là del fisico, pur inglobandolo, ed è nel segno del figitale: della mistione di fisico e digitale che progressivamente riempie le nostre vite.
Il suo avvenirismo intende sposarsi agli ambiti più antichi dell’esistenza umana. Uno di questi è il campo dell’educazione.
Per la prima volta – dopo che il mondo ha sperimentato, in fase pandemica, la didattica a distanza – quanto sembrava relegato all’universo dei nerd entra nel mondo dei ragazzi comuni.
Un gruppo dell’Università del Maryland Global Campus (UMGC) accoglie con favore i dispositivi per realtà virtuale. E così si accinge a studiare il linguaggio, la biologia, l’astronomia, la giurisprudenza, tramite lezioni in un campus virtuale attraverso delle cuffie Meta Quest 2 donate agli studenti dal colosso di Mark Zuckerberg.
L’apprendimento immersivo, quale nuova forma di paideia, apre a scenari dal sapore fantascientifico e a inedite suggestioni speculative.
Come si impara nel metaverso?
In alcuni dei corsi di criminologia (specificamente quelli che insegnano i metodi di indagine e l’esame della scena del crimine), attraverso la realtà virtuale, ci si “immerge” nel luogo del delitto. Qui gli studenti – individualmente o in team – interagiscono con le prove, portano avanti l’indagine e formulano giudizi e decisioni. Lo schema risulta particolarmente attraente dal momento che non è orientato esclusivamente alla massima resa in termini di profitto, ma al miglioramento costante delle proprie abilità: gli studenti possono tornare indietro – sempre sulla scena del delitto – quando lo ritengono opportuno, con lo scopo di affinare le proprie capacità di analisi. Come in un videogioco o come in un metodo sperimentale – aggiornato e virtuale – che riparta dalle ipotesi e proceda con gli esperimenti. Sempre in vista di un migliore risultato.
Ma l’Università in questione non è l’unica ad aver sperimentato quello che gli imprenditori tecnologici chiamato metaversity (crasi fra metaverse e university). Ben dieci istituti di istruzione superiore negli USA, infatti, intendono creare le proprie versioni 3D coinvolgendo gli studenti attraverso le cuffie VR. Le tecnologie a supporto di questi progetti derivano da due diverse società (Engage e VictoryXR); l’investimento è invece sostenuto da Meta. Ancora una volta Zuckerberg dona sogni e visori ai ragazzi che non temono il futuro.
Dark side dello studio immersivo
Già 15 anni fa le università statunitensi si cimentarono con Second Life, ma oggi la promessa è di una resa migliore e non più effimera. Stando a uno studio della Standford University, se al primo impatto questo nuovo metodo educativo può destabilizzare, esso tende col tempo a diventare più realistico (oltre che più divertente).
Gli educatori dell’Università del Maryland Global Campus hanno scoperto che alcuni studenti, infatti, traggono maggiore serenità nel riconoscere sé stessi in un avatar allorché interagiscono con colleghi e studenti. In special modo se sono in difficoltà. Ed ecco che un punto in apparenza rassicurante dovrebbe al contrario destare preoccupazione.
Nel suo ultimo libro Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis) il filosofo italiano Eugenio Mazzarella rileva come il metaverso si giochi nella sfera di quelli che Hegel chiamava “i sensi superiori” ossia vista e udito. Tagliati fuori sembrano essere – per il momento – i “sensi bassi”: gusto, tatto, olfatto. Non v’è dubbio che l’apprendimento sia centrato sulla vista e sull’ascolto di chi professa un insegnamento. Non meno importante, tuttavia, è l’insieme impercettibile di sensazioni che mettono in moto un organismo in un contesto di crescita educativa. Il contatto – anche fisico, tattile – con l’altro e con l’ambiente circostante è funzionale affinché lo spazio in cui s’apprende non sia un non-luogo sempre uguale a sé stesso. Uno spazio anodino come può diventare la cameretta da cui ci si collega. L’esser presenti passa, per contro, da tutti i sensi di cui un individuo dispone. E – non a caso – a scuola si risponde “presente”. Forse perché per apprendere non basta ascoltare e guardare, ma bisogna anche esserci. Non solo ragionare, ma pure “sentire”. Uscire dunque dalla cameretta per incamerare quanta più vita possibile. Metaversity abbaglia ma certo non sembra priva di ombre.
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