I 20 anni della Missione Rosetta con Amalia Ercoli Finzi, la signora delle comete
Come si torna indietro di 4,5 miliardi di anni per andare alla scoperta delle origini del Sistema Solare, quando i pianeti ancora non si erano formati e solo un vasto sciame di asteroidi e comete circondava il Sole?
Basta costruire una sonda piena di strumenti scientifici, lanciarla nello spazio e dopo un viaggio di una decina d’anni, metterla in orbita attorno a una cometa che si muove a 500 milioni di chilometri da noi. Poi dalla sonda si fa scendere un piccolo lander sulla cometa, così che possa trapanarne la superficie e analizzare la sua composizione. Semplice, no? Ovviamente è un paradosso, perché quella descritta è un’impresa al limite del possibile se non, addirittura, un po’ folle. Eppure, qualcuno ci è riuscito. E quel qualcuno siamo stati noi europei e in gran parte proprio noi italiani. É la storia della missione spaziale “Rosetta” (il nome dato alla missione, evoca immediatamente la famosa stele di roccia conservata al British Museum di Londra ma scoperta nel 1799 in Egitto da un capitano dell’esercito di Napoleone che consentì all’archeologo francese Jean-François Champollion di decifrare i geroglifici, confrontandoli con il testo in greco antico inciso sulla stele) che a marzo ha compiuto 20 anni dal suo lancio ma che, tra costruzione e test, era iniziata una decina d’anni prima, nel 1994 e che era stata concepita addirittura alla metà degli anni ‘80.
La signora delle comete
Le comete (dal greco kométes che significa “dalla lunga chioma") sono corpi celesti ghiacciati che contengono acqua, metano, ammoniaca, anidride carbonica, frammenti di rocce e metalli.
Sono come antichi iceberg che vagano nell’oceano del Sistema Solare e che si sono formati circa 4,5 miliardi di anni fa assieme al Sole, ai pianeti e alle loro lune e, dunque, sono testimoni preziosi di quel tempo lontano.
Uno dei cuori, anzi, delle menti pulsanti di quella missione è stata la professoressa Amalia Ercoli Finzi, un vero pezzo di storia vivente dell’aerospazio italiano. Classe 1937, è stata, nel 1962, la prima donna italiana laureata in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano, perché allora quella aerospaziale ancora non esisteva. Ha vissuto tutta l’epopea spaziale, dallo Sputnik alle missioni Apollo, fino alle prossime missioni Artemis, dando il suo contributo in molti campi, come docente al Politecnico di Milano e come consulente della NASA, dell’ESA e dell’ASI. Insignita della Medaglia d’oro ai benemeriti della scienza e della cultura e Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, portano il suo nome un asteroide e un teorema ma, soprattutto, ha dato un contributo fondamentale allo studio delle comete (tanto da essere stata soprannominata la “signora delle comete”) e alla missione Rosetta per la quale, tra l’altro, è stata responsabile scientifica dello strumento più importante del lander, la trivella che avrebbe dovuto eseguire analisi della superfice della cometa. Un workshop per i 20 anni della missione tenutosi in questi giorni all’Osservatorio astronomico di Capodimonte a Napoli, è stata l’occasione per porle alcune domande.
Professoressa, ci dice chi ha avuto l’idea della missione Rosetta?
"L’idea è stata nostra, è nata in Italia intorno alla metà degli anni ’80, poi l’abbiamo portata avanti soprattutto assieme a Francia e Germania".
E gli americani?
"Doveva essere fatta anche con la NASA ma poi, siccome le distanze coinvolte erano troppo grandi e le dimensioni della cometa troppo piccole, gli americani si sono tirati fuori perché non credevano che ce l’avremmo fatta. L’unica partecipazione americana è stata un esperimento progettato dal JPL. Così è diventata una missione europea ma poi anche mondiale, perché ha avuto un’eco che nessuno si aspettava".
Ecco, a proposito della missione e del suo obiettivo, perché proprio una cometa?
"Perché studiare le comete vuol dire studiare l’infanzia del Sistema Solare, quando è nato, perché le comete si sono formate allora. Nella nube protoplanetaria però, prima si sono formati agglomerati che sono diventati i pianeti con le loro lune, mentre le comete non ce l’hanno fatta e sono rimaste in frammenti che orbitano per conto loro. E siccome ci sono i quattro elementi base, carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, noi in effetti, tramite loro, studiamo la vita perché il gioco fondamentale è quello che avviene tra il carbonio e l’idrogeno. Dunque, se ci chiediamo: il carbonio e l’ossigeno sono mai riusciti a mettersi insieme? Se guardiamo alle comete, la risposta è si. Perché abbiamo trovato molecole organiche e proprio sulla nostra cometa, la C-G, anche un aminoacido, il più semplice di tutti, ma che rappresenta comunque uno dei mattoni della vita. Quindi la teoria per la quale la vita potrebbe essere arrivata con una cometa è plausibile".
Rosetta è stata la missione delle “prime volte”: la prima a raggiungere una cometa, la prima a seguirla nella sua orbita intorno al Sole e la prima a portare un lander sulla sua superficie. Quanto è stato difficile raggiungere questi risultati?
"Difficilissimo! In effetti gli americani un po’ avevano ragione. Anche solo per le distanze coinvolte e per riuscire a contattare la cometa. Anche semplicemente per trovarla. É come se volessimo parlare su un’enorme spiaggia con un granellino di sabbia semplicemente facendo un piccolo cenno. Lei ci rispondeva con un picco del segnale che voleva dire che ci aveva sentito. Era una cosa miracolosa. Anche avvicinarci alla cometa alla sua stessa velocità è stata un’operazione difficilissima che ha richiesto il gravity assist, cioè passare attorno ai pianeti e noi l’abbiamo fatta quasi senza dover apportare correzioni".
Quando il Lander con la sua trivella si è posato sulla cometa cosa ha provato, dopo tanto lavoro, nel vedere che ce l’aveva fatta?
"Dal distacco del lander al suo arrivo sulla cometa passavano sette ore e lì ho avuto davvero paura che non ce la facesse. In quel momento ero in Germania e mi sono messa in un angolo, accanto a un muro in raccoglimento e ho pregato il Signore dicendo: “Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Adesso tocca a te. E lui mi ha ascoltata”. Vede, io sono convinta che noi abbiamo questo desiderio di conoscenza che è anche un po’ la nostra maledizione perché ci spinge sempre oltre ma non lo colmiamo mai. Però dico anche che questo desiderio di conoscenza, questa curiosità, è quello che non mi fa temere la morte perché oltre la fine ci sarà certamente qualcosa di meraviglioso".
A proposito, che fine hanno fatto Philae e l’orbiter?
"Di Philae sappiamo che sta lì, sulla cometa, e quindi ogni sei anni o poco più torna, tant’è che c’era anche una proposta di una nuova missione per tornare sulla C-G a verificare le cose e le nostre conoscenze, ma poi non è andata in porto. L’orbiter invece sappiamo che è sceso sulla cometa, anche se non sappiamo di preciso dove sia. Molti dicono che si è schiantato ma siccome la gravità è davvero molto bassa, potrebbe anche essere semplicemente appoggiato lì, da qualche parte".
L’Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano nell’aerospazio. Come vede oggi il nostro Paese nella competizione spaziale con l’ingresso dei privati come Elon Musk, Jeff Bezos o Richard Branson?
"Mi faccia sottolineare una cosa. L’industria aerospaziale italiana è diversa dalle altre perché è propositiva, mentre le altre eseguono semplicemente. È sempre stata quella che prendeva ciò che le si diceva di fare, lo studiava e poi proponeva di farlo in un certo modo. E spesso queste modifiche venivano considerate e accettate. Oggi per fare quello che stanno facendo i privati come Musk o Bezos, bisognerebbe averli anche noi, dei privati di queste dimensioni ma non è così. Però ci sono le industrie minori che stanno pensando di realizzare qualcosa di veramente innovativo come lo spazioporto in Italia per lanciare, ad esempio, i satelliti più piccoli. Quindi, secondo me, anche in questo campo l’Italia farà cose buone. E poi abbiamo anche grandi astronauti come Walter Villadei che recentemente ha fatto una figura fantastica".
A questo proposito va rimarcato il contributo fornito alla missione dalle società del gruppo ‘Leonardo’ (all’epoca ‘Finmeccanica’) Selex ES, Telespazio e Thales Alenia Space, hanno contribuito in maniera decisiva alla missione Rosetta grazie ai numerosi strumenti e sistemi di terra e di bordo della sonda Philae. Prima fra tutti la speciale trivella chiamata SD2 (Sample Drill and Distribution) realizzata da Selex ES. Questo straordinario strumento avrebbe dovuto trapanare il suolo della cometa fino a una profondità di 30 centimetri, raccogliere dei campioni e analizzarli in loco grazie a una serie di piccoli contenitori (fornetti) presenti su Philae, che avrebbero riscaldato il materiale ottenuto per analizzarne i vapori. Purtroppo le cose andarono diversamente perché Philae, dopo una lunga discesa di sette ore dall’orbiter fin sulla cometa, ebbe un problema al sistema (realizzato dai tedeschi) che l’avrebbe dovuta ancorare alla superficie per cui, dopo un primo touch-down, anziché fermarsi, compì ancora un paio di saltelli e fu un vero miracolo che non si perse nello spazio, perché rimbalzò con una velocità inferiore di appena 4 centimetri al secondo alla velocità di fuga che avrebbe permesso di sfuggire alla debole attrazione gravitazionale della cometa! Alla fine, comunque, riuscì a fermarsi in un punto scosceso della cometa, ma in posizione tale da non permettere alla trivella di raggiungere la superficie e perforarla come previsto. Tuttavia, una volta mandato il comando dalla Terra, il sistema funzionò alla perfezione e quindi, nell’insieme, la missione fu un grande successo, non solo per aver raggiunto la cometa ma anche per la parte della trivella, progettata e realizzata dagli italiani.
Negli anni ’60 la spinta che portò l’uomo sulla Luna fu la gara con l’Unione Sovietica. Oggi, forse, sembra che la motivazione ad andare nello spazio sia sempre più quella di fare affari. È d’accordo con questa lettura o c’è ancora spazio per i sogni?
È vero che la grande finanza ha in mano le sorti della Terra, ma una cosa del genere non basta a spiegare la voglia di spazio. In realtà io credo che questo intervento del privato sia molto positivo perché i privati adoperano quello che hanno studiato e realizzato con criteri scientifici e di sicurezza le grandi agenzie spaziali e quindi le piattaforme, i grandi satelliti e così via ed è per questo che riescono ad abbassare i costi e quindi, in prospettiva, a rendere lo spazio sempre più alla portata di tutti. Adesso non è ancora possibile, i viaggi spaziali costano ancora troppo ma è un processo; all’inizio gli apparecchi televisivi costavano tanto ed erano accessibili a pochi. Oggi, invece, è una tecnologia alla portata di tutti e sono convinta che andrà così anche per lo spazio. Io non ho paura del capitale perché un capitale ben speso è una leva, però bisogna dargli un criterio etico altrimenti aumentiamo solo le disparità.
Lei è stata la prima italiana a laurearsi in ingegneria aeronautica nel 1962 e sua figlia è ingegnere nucleare. Secondo lei, quanto conta per la formazione di un giovane l’ambiente famigliare di provenienza?
La famiglia è importante e non soltanto quando può mettere a disposizione le risorse economiche per studiare, perché se anche in una famiglia non ricca c’è attenzione alla cultura, allora i ragazzi ne trarranno sicuramente beneficio. E ne abbiamo gli esempi nella storia, come Yuri Gagarin che era di famiglia povera. L’importante è che alle spalle del giovane ci sia una famiglia curiosa e poi, ovviamente, la scuola.
Ecco, a proposito di scuola, l’articolo 34 della Costituzione afferma che l’istruzione è un diritto e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze». Crede che il sistema scolastico italiano stia mantenendo questa promessa fatta ai cittadini?
Tanto per cominciare questo è uno di quegli articoli che fanno della nostra Costituzione un esempio per tutto il mondo. Poi io stessa ho studiato tanto con borse di studio che, secondo me, sono lo strumento primo per andare avanti. Però bisognerebbe averne tante da poterle distribuire di più e non darle solo alle eccellenze e soprattutto evitare che la distribuzione geografica favorisca il Nord rispetto al Sud. Purtroppo, non ci sono le stesse opportunità per tutta l’Italia. È un’organizzazione che non deve limitarsi alle borse di studio ma estendersi, per esempio, anche agli stage che si fanno alle scuole superiori e poi bisogna far capire ai ragazzi che la scuola dell’obbligo non finisce con le medie, ma va avanti e che la curiosità va avanti per tutta la vita.
A proposito di scuola, questo è tempo di esami di maturità e di scelte per tante ragazze e ragazzi. C’è qualcosa che vorrebbe dire loro su come continuare? Un consiglio per gli studi e la vita che li aspetta?
Intanto dico che i giovani sono il nostro futuro e i giovani d’oggi hanno tante caratteristiche positive e hanno delle opportunità. Certamente hanno del talento e il compito degli insegnanti e della famiglia è di riuscire a tirar fuori questo talento. Ma non è detto che sia solo quello per gli studi, può essere anche altro come la capacità di relazionarsi con gli altri o di saper organizzare o di avere attenzione per gli altri. Ecco, queste sono le cose che noi dobbiamo chiedere a questi ragazzi di mettere in pratica, perché loro prenderanno le decisioni che influenzeranno il futuro dell’umanità e queste decisioni devono essere attente agli ultimi, perché è solo col benessere globale che noi garantiamo la felicità del singolo.
Credits Copertina: copyright ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
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