Chi sorveglia il capitalismo della sorveglianza?
"L’esperienza umana è diventata ormai una materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali… e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato quello dei ‘mercati comportamentali futuri’ …..dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro per realizzare i loro scopi".
Con queste parole la sociologa ed accademica Shoshana Zuboff nel 2019 definì nel suo più celebre libro i caratteri e le conseguenze principali di quella nuova fase del capitalismo moderno che aveva riassunto con il concetto di "capitalismo della sorveglianza". Una formula che viene analizzata, argomentata e studiata nel suo più celebre saggio: "Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri"(da poco ripubblicato in una nuova edizione curata dalla street artist HOGRE per LUISS Press edizioni) e che negli anni non si è configurata solo come una delle tante formulazioni teoriche dell'esistente, bensì come una delle chiavi di lettura dell'evoluzione delle società occidentali che più ha catturato l'attenzione e le preoccupazioni non solo di studiosi ed intellettuali, ma anche di uomini di governo e personalità delle principali istituzioni europee ed occidentali. Infatti, proprio nel gennaio del 2023, in occasione della 17° Giornata della protezione dei dati, Jean-Philippe Walter, Commissario per la protezione dei dati del Consiglio d'Europa, ha diffuso un messaggio sull'importanza di "rispettare il diritto alla protezione dei dati", nel quale dopo aver sottolineato i rischi dello strapotere dei giganti del digitale ha affermato che il " 'capitalismo della sorveglianza' si è impossessato dei nostri dati per rivendicare a sé il diritto di gestire le nostre vite.
L'enorme espansione dei sistemi di intelligenza artificiale è un'altra sfida al rispetto dei nostri diritti umani e delle nostre libertà fondamentali". Ma che cos'è davvero questa nuova fase del capitalismo e come si invera nella nostra realtà contemporanea? Per la Zuboff esso è un nuovo ordine economico che sfrutta l'esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali "segrete" di estrazione, previsione e vendita, la cui caratteristica intrinseca è la "predittività". Ovvero la previsione delle preferenze dell'utente generata tramite l'estrazione dei dati personali, che ogni giorno vengono prodotti dagli utenti.
Un'estrazione dei dati che non porta solo ad una analisi e profilazione di essi per favorire la necessità di una maggiore "personalizzazione" dei servizi di cui si dispone, ma che genera uno "scarto" di dati, che viene poi riutilizzato e sottratto agli utenti e trasformato tramite l'utilizzo dell'AI in "prodotti predittivi" che vengono venduti sui cosiddetti "mercati dei comportamenti futuri".
Dei mercati dove i dati, le preferenze, le informazioni degli utenti dopo essere stati elaborati in prodotti vengono comprati dalle aziende non solo per predire, dedurre o anticipate le esigenze ed i desideri dei consumatori, ma anche per stimolarle, condizionarle, innescarle. Una "logica economica parassitaria nella quale la produzione di beni e servizi è subordinata a una nuova architettura globale orientata al cambiamento dei comportamenti" secondo gli schemi e le esigenze degli oligopoli digitali che tramite l'estrazione di dati per realizzare la personalizzazione dei nostri servizi ha generato concentrazioni di ricchezza, conoscenza e potere senza precedenti nella storia dell'umanità. L'opera della Zuboff, (sulla scia della tradizione marxiana) riflette, infatti, che nelle società democratiche occidentali oggi avviene una nuova alienazione ben più terribile quella del surplus marxiano, con cui il capitalista alienava al lavoratore (secondo il pensatore di Treviri) il valore che lui aveva prodotto, quella di un "surplus comportamentale". Una alienazione che non riguarda più solo la classe operaia, ma che investe tutti gli utenti sottraendo ad essi i dati, le informazioni e le preferenze che ogni giorno vengono prodotte e che poi vengono "sfruttate" dai capitalisti digitali. Una sottrazione che per qualche aspetto è una cessione senza consenso dei propri dati, che sottraggono all'utente un bene tanto prezioso che viene definito il petrolio del XXI secolo, che esso stesso produce ogni giorno e che contribuisce a realizzare un mercato il cui valore, secondo le analisi dell'autorità UE, si stima sarà nel 2025 di 829 miliardi, rispetto ai circa 300 miliardi del 2018, e il cui valore contribuirà ad aumentare vertiginosamente se pensiamo che circa il 90 % dei dati che abbiamo a disposizione sono stati creati solo nell'ultimo decennio. I rischi del capitalismo della sorveglianza però non sono solo economici, ma anche culturali e sociali.
Tramite questo circuito di estrazione e predizione non si fornisce alle big tech solo una fonte di potere e conoscenza, ma anche uno strumento di "pianificazione" ben più potente di quello denunciato da Galbraith e Packard nel secondo dopoguerra con l'avvento della "società opulenta" portata consumismo e dall'avvento della pubblicità e dalla sua forza di persuasione occulta, producendo un condizionamento senza eguali. Soprattutto perché ora i "persuasori occulti" (aziende, media, pubblicità) non solo possono stimolare e risvegliare i desideri del consumatore, ma possono precederli, innescarli e condizionarli grazie alla mole di nostri dati di cui dispongo. Un problema che la Zuboff analizza nel suo testo tracciando una genealogia e una anatomia del capitalismo della sorveglianza, che affonda le sue radici nello smantellamento degli istituti del New Deal e nella nascita delle "frontiere digitali" degli anni 90, e che proprio con l'avvento della globalizzazione e la nascita delle agenzie per la sicurezza dei primi anni 2000 trova il momento fondativo del Surveillance capitalism.
Se il capitalismo industriale aveva come suo pioniere la General Motors e l'industria automobilistica, quello della sorveglianza ha invece come suoi pionieri lo sviluppo di Google e del mercato del Digital advertising delle altre Big Tech (come Facebook ed Amazon, ad esempio). Per la Zuboff, infatti, lo sviluppo del mercato dei dati ha nella pubblicità il suo motore principale, la cui condizione è quella di generare introiti progressivamente sempre più elevati all'aumentare dei dati disponibili. Scendendo nella realtà empirica possiamo infatti notare che la Alphabet, la società madre di Google (tra i più importanti colossi del digitale), ha recentemente pubblicato i risultati finanziari relativi al secondo trimestre del 2023, conclusosi il 30 giugno. Nel dettaglio i ricavi totali sono stati pari a 74,6 miliardi di dollari, con un incremento del 7% su base annua. A trainare la crescita è stato soprattutto il core business di Google, ovvero la pubblicità legata al motore di ricerca. Questa divisione ha totalizzato entrate per 42,6 miliardi di dollari, con una progressione di circa il 5% anno su anno. Stesso discorso vale per il business pubblicitario di Amazon che cresce del 22% nel secondo trimestre dell’anno e raggiunge i 10,68 miliardi di dollari, sotto il versante dell'advertising. Profitti che accrescono i capitali del mondo delle Big Tech complessivamente di 70 miliardi di dollari soltanto nell'ultimo anno (come rileva il Sole 24 ore).
In questo contesto, quelli che per la Zuboff sono i grandi colossi del capitalismo della sorveglianza, continuano il loro sviluppo ipertrofico posizionandosi come dei grandi oligopoli digitali, la cui capitalizzazione di mercato supera i mille miliardi di dollari, (tra cui Apple, Microsoft, Saudi Aramco, Amazon, Alphabet e Nvidia) trovando nel mercato dei dati il loro mercato fondamentale e prioritario, e nella autonomia di azione svincolata da ogni controllo il loro principale vantaggio competitivo. Questi grandi oligopoli hanno guadagni simili ai PIL di alcuni stati sovrani, risorse e tecnici migliori di quelle di molte burocrazie nazionali, ed un potere di condizionamento concorrenziale con quello di molte comunità di stati. Presentando uno sviluppo che di è inverato senza nessun controllo, nessun vincolo, nessun ordine. Generando una dialettica tra azienda ed utente, che porta i clienti, a non essere più chi decide o chi sceglie, un customer (cliente) in sostanza, ma a diventare, invece, come un follower (un seguace) che non sceglie e non decide, ma segue ed utilizza quello che gli viene offerto, (parafrasando l'interpretazione data alla dialettica politica del professor Luciano Floridi), trasformandosi in un utente passivo, la cui massima rappresentazione è sul tema dei termini e delle condizioni dei dati personali.
Infatti, gli stessi regolamenti con cui si sottoscrivono le condizioni d'uso delle principali piattaforme digitali che sono di fatto contratti unilaterali in cui il peso delle aziende è soverchio rispetto a quello degli utenti. Una recente statistica ha fatto emergere che per leggere tutte le condizioni per la privacy che un utente incontra in un anno, ci vorrebbero 76 giorni lavorativi con un costo per gli Stati Uniti di 780 miliardi di dollari, ove ogni cittadino statunitense le leggesse completamente. Alla luce di questo squilibrio di poteri, per parafrasare il motto di Giovenale, occorre pensare a: chi sorveglia il capitalismo della sorveglianza?
Chi monitora e controlla i poteri di questi oligopoli digitali? Chi può ancorare l'azione di essi nei limiti dei diritti costituzionali dei cittadini?
Di fronte a questo strapotere degli oligopoli digitali, come sottolinea la stessa Zuboff, occorre che i governi e le autorità indipendenti frenino le esternalità da essi prodotti favorendo una armonizzazione delle ipertrofie di questi attori sociali nell'interesse dei cittadini.
Una azione che in questi ultimi mesi ha visto una particolare attenzione soprattutto da parte delle istituzioni italiane ed europee. Pensiamo all'azione del Garante della privacy italiano per ricondurre nel seminato l'attività di Chat Gpt3 oppure alla promulgazione di provvedimenti come il Digital Services Act, recentemente entrato in vigore e che ha suscitato alcune rassicurazioni (anche quelle della stessa Zuboff), ma anche alcuni timori. In questo senso occorre quindi cercare di capire come monitorare e controllare gli eccessi del capitalismo della sorveglianza, senza però cadere negli errori e negli abusi dello "stato della sorveglianza", mantenendo come prioritaria la difesa dei diritti dei cittadini.
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