La ferrovia lunare, il razzo per Marte, i telescopi liquidi e le altre visioni della NASA
Generatori di energia di nuova generazione, razzi super efficienti, ferrovie lunari e telescopi liquidi. Sembra fantascienza, in realtà c’è tanta “scienza acquisita” nei progetti futuristici finanziati attraverso il Niac, (Nasa innovative advanced concepts), “tecnicamente credibili” per “cambiare il possibile nel settore aerospaziale”. Sono sei le idee selezionate per la fase 2 nel 2024 che potrebbero trovare applicazioni sia in missioni umane, come insediamenti sulla Luna e Marte, che robotiche, in giro per il Sistema solare. E, come spesso accade, anche cambiare in meglio la vita qui sulla Terra.
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Il telescopio liquido
Per vedere lontano serve raccogliere tantissima luce dagli angoli più remoti del Cosmo, con grandi specchi. Una delle difficoltà più importanti nel realizzare telescopi a grande apertura sulla Terra è che specchi “monolitici”, a lastra unica, di grandi dimensioni sono difficili da costruire, hanno bisogno di giganteschi supporti, tendono a deformarsi sotto il loro stesso peso e l’immagine può così perdere di qualità. Gli osservatori più grandi hanno specchi composti da segmenti esagonali. Un team di scienziati della Nasa e del Technion – Israel Institute of Technology, sta lavorando a Flute (Fluidic Telescope), un telescopio spaziale con uno specchio gigantesco, addirittura 50 metri di diametro. È possibile perché il progetto prevede che abbia una superficie riflettente liquida. Una serie di esperimenti in microgravità anche sulla Iss, hanno dimostrato che nello spazio, senza peso, si può ottenere uno specchio stabile usando liquidi ionici e il gallio. A titolo di confronto, nel 2028 il più grande telescopio sulla Terra sarà l’Extremely large telescope, dell’Eso, in Cile: il suo specchio, a segmenti esagonali, avrà un diametro di quasi 40 metri. Nello spazio il più grande è lo specchio segmentato del James Webb, con un diametro di 6,6 metri.
Credits: Edward Balaban
Una ferrovia a nastro sulla Luna
È il corrispettivo lunare dei carrelli che correvano sui binari nelle miniere dell’800. Solo che nel progetto per le miniere sulla Luna non ci sono vie ferrate, ma lunghi nastri e semplici piattaforme trasportatrici mosse grazie alla levitazione magnetica. Si chiama Float (Flexible levitation on a track), proposto da Ethan Schaler del Nasa Jet propulsion laboratory. Impiega robot senza alimentazione che scorrono su una pista di film flessibile formato da tre strati: uno di grafite per fluttuare passivamente utilizzando la levitazione diamagnetica; uno strato di circuiti flessibili che genera una spinta elettromagnetica controllata; un terzo strato, opzionale, è un film fotovoltaico per generare energia per la base lunare. I “carrelli” non avranno parti mobili, per evitare problemi di usura e di abrasione per la polvere. Potranno trasportare circa 30 chili per metro quadrato e in totale, secondo gli ingegneri, si potranno muovere centinaia di tonnellate al giorno per diversi chilometri. Float è un’infrastruttura pensata per supportare le operazioni di estrazione di risorse in situ, dalla regolite, per ottenere acqua e i suoi elementi, ossigeno e idrogeno, utili come carburante o e aria da respirare per la sussistenza dell’insediamento.
Credits: Ethan Schaler
Energia nell’oscurità
Missioni come le Voyager, le Pioneer e New Horizons, alcune arrivate ai confini del Sistema solare, non sono alimentate da pannelli solari (sono troppo distanti dal Sole) ma di un generatore termoelettrico a radioisotopi. Sfrutta uno o più pellet di Plutonio il cui decadimento genera calore, la differenza di temperatura dei materiali, tramite un “pozzo di calore” (heat sink), produce una corrente elettrica. Le Voyager continuano a funzionare da 47 anni con questo sistema. Che però ha un’efficienza molto bassa.
Stephen J. Polly e Geoffrey A. Landis del Rochester Institute of Technology assieme a Seth M. Hubbard della Nasa hanno proposto di sperimentare un nuovo tipo di generatore “termoradiativo” a radioisotopi che definiscono “rivoluzionario”. Usando lo spazio stesso come pozzo di calore, e materiali come una lega di arseniuro di indio e antimoniuro di indio, il team pensa di poter realizzare un generatore con prestazioni 25 volte più efficienti rispetto a quelli tradizionali. E in una frazione del volume e del peso. L’idea è di testare un prototipo per alimentare un cubesat da lanciare verso Urano, ma sarebbe una fonte di energia utile anche durante le notti lunari (che durano due settimane) e in impianti di estrazione sul fondo dei crateri perennemente in ombra.
Credits: Stephen Polly
Un razzo nucleare per raggiungere Marte in due mesi
Per arrivare su Marte, le missioni spaziali impiegano tipicamente dai sei agli otto mesi. Ed è più o meno anche il tempo che dovrebbero trascorrere chiusi in un’astronave i primi pionieri quando si riuscirà a organizzare una spedizione umana sul Pianeta rosso. La propulsione chimica non consente di essere più rapidi. È il motivo per cui la Nasa sta da tempo esplorando altre soluzioni, come quella della propulsione nucleare.
Howe Industries, azienda dell’Arizona, sta sviluppando un sistema che può generare fino a 100.000 newton di spinta (quanto il secondo stadio di un piccolo razzo orbitale, ma con un impulso specifico molto grande, 5.000 secondi, quindi molto efficiente). Il razzo a plasma pulsato (Ppr) è derivato dal concept di fissione fusione pulsata, usa la fissione nucleare per generare la spinta. Brianna Clements, responsabile del progetto, stima che un razzo di questo tipo potrebbe portare una missione su Marte in circa due mesi. In alternativa, consentirebbe di trasportare molto più peso a parità di tempo impiegato rispetto a missioni “tradizionali”. Avventure come quella marziana saranno molto “pesanti”: le astronavi dovranno essere schermate dalle radiazioni, inoltre i primi astronauti avranno necessità di avere viveri, mezzi e dispositivi per la sussistenza lanciati dalla Terra.
Credits: Howe Industries
Uno sciame di smallsat come antenne
L’atmosfera terrestre è un filtro che ci protegge da molte radiazioni nocive e una pioggia di raggi cosmici. Ma è anche uno schermo che impedisce a una grande parte di lunghezze d’onda radio di arrivare ai radiotelescopi, sono quelle dal metro al chilometro) alle quali siamo “sordi”. Gli scienziati sono molto interessati a queste onde perché potrebbero portare informazioni dal campo magnetico di pianeti extrasolari, stelle e dalle prime galassie. Costruire osservatori radio nello spazio è stato finora impossibile date le dimensioni necessarie per le antenne.
Il team guidato da Mary Knapp del Massachusetts institute of technology (Mit) propone di realizzare il Great observatory for long wavelengths (GO-LoW) formato da 100 mila piccoli satelliti identici, ognuno dotato di un’antenna, da parcheggiare in un punto di Lagrange (a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra). Satelliti più grandi avranno il compito di ricevere i dati e spedirli a terra via laser. La ridondanza dello sciame consentirà di sopperire a eventuali guasti isolati.
Il concetto dell’osservazione è quello dell’interferometria: più osservatori ricevono insieme le onde da una stessa sorgente e agiscono come un’unica, gigantesca antenna dal raggio di migliaia di chilometri.
Credits: Mary Knapp
Viaggiare leggeri con le vele solari
Se l’oceano è il Cosmo, il vento solare porta molto lontano. Scienziati e ingegneri da anni, ormai, mettono a punto sottilissime e leggerissime vele solari che, sotto la spinta continua delle particelle che provengono dalla nostra stella, possono coprire grandi distanze. Mahmooda Sultana, ingegnera al Nasa Goddard space flight center, stima che potrebbero percorrere oltre 1,5 miliardi di chilometri in un anno. Significherebbe arrivare dalle parti di Urano in appena due anni (la sonda Juno ha impiegato quasi 5 anni fino a Giove, quattro volte più vicino).
Grande difetto delle vele solari: funzionano bene solo con carichi leggerissimi, di pochi grammi. Impossibile dunque inviare sonde pesanti tonnellate come si è fatto finora, verso i pianeti gassosi del Sistema solare esterno. Scope (ScienceCraft for outer planet exploration) proposta da Sultana consiste nello stampare lo strumento, uno spettrometro per analizzare i gas delle atmosfere planetarie, sul tessuto stesso della vela in nanostrutture di punti quantistici. Da sperimentare con una missione verso la luna di Nettuno, Tritone, nei prossimi anni. Il progetto non menziona però l’apparato indispensabile, l’antenna, per trasmettere i dati verso la Terra (e il suo peso) né un sistema di alimentazione.
Credits: Mahmooda Sultana