Alla scoperta delle Sfere di Dyson: sette possibili segnali di civiltà extraterrestri
“Siamo soli nell’universo”? Un quesito che ha generato una quantità di ipotesi e teorie: ‘Sfere di Dyson’, viaggiatori da altri mondi che si nascondono tra noi per studiarci, misteriose civiltà ‘cripto-terrestri’ e visitatori invisibili che si tengono a distanza
Già, ma dove sono tutti? Se lo chiedeva quel genio di Enrico Fermi già nel 1950 ragionando su un evidente paradosso: con l’enorme numero di stelle nell’universo attorno alle quali potrebbero orbitare moltissimi pianeti anche simili al nostro è molto probabile che esistano altre forme di vita intelligente. Ma, allora, Perché non ne abbiamo ancora le prove? E perché la Terra non è già stata visitata? È il paradosso di Fermi: “Dove sono tutti”?
Sette sfere per sette possibili civiltà
All’inizio di maggio 2024 alcuni scienziati impegnati in una ricerca dell’università svedese di Uppsala dal suggestivo nome di ‘Progetto Efesto’, hanno pubblicato negli avvisi mensili della Royal Astronomical Society uno studio dove spiegano come, dopo aver esaminato ben cinque milioni di stelle, ne hanno individuate sette che mostrano caratteristiche insolite, coerenti con quelle di una Sfera di Dyson e che richiedono ulteriori approfondimenti. Cosa vuol dire? Abbiamo forse trovato sette possibili civiltà aliene incredibilmente evolute.
Alla prima metà degli anni ’60, l'astrofisico sovietico Nikolai Kardashev elabora un sistema per classificare le civiltà spaziali in base alla loro capacità di utilizzare l’energia. In questa scala, una civiltà di Tipo I è in grado di utilizzare tutte le risorse energetiche del proprio pianeta, una di Tipo II può sfruttare l’energia della propria stella e una di Tipo III può addirittura utilizzare l’energia della propria galassia.
Più o meno in quegli stessi anni il fisico e matematico britannico in odore di Nobel Freeman Dyson stava elaborando il concetto di ipotetiche strutture tecnologiche che una civiltà avanzata potrebbe costruire attorno alla sua stella per catturarne l’energia e utilizzarla per le proprie necessità.
Queste strutture (satelliti o collettori solari posti su orbite che avvolgono la stella) sono state chiamate Sfere di Dyson e dunque sarebbero il segno, la tecno-firma, di una civiltà di Tipo II. A indicarne la presenza sarebbe la variabilità della luminosità della stella, accoppiata a un eccesso di radiazione infrarossa perché, come scrivono i ricercatori, «una tale struttura emetterebbe calore di scarto sotto forma di radiazione nel medio infrarosso». E così, sfruttando satelliti come l’europeo ‘Gaia’, l’americano ‘Wise’ e sistemi per rilevamenti astronomici come il ‘Two Micron All Sky Survey’, i ricercatori hanno isolato sette casi che mostrerebbero, appunto, la tecno-firma di una Sfera di Dyson.
Ovviamente, sottolineano, le anomalie potrebbero avere origini naturali e non essere necessariamente il frutto di una tecnologia avanzata anche se, al momento, non esiste una chiara spiegazione per i dati raccolti. Intanto, già a marzo, un altro studio condotto da ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, della New York University e del Max Planck Institute aveva individuato altri 53 casi anomali di emissione infrarossa. Insomma, c’è di che tenere impegnati gli scienziati nei prossimi anni. C’è però anche chi è convinto che gli alieni siano molto più vicini di quanto pensiamo. Qualcuno che ha una teoria a dir poco eterodossa ma che non è certo un ciarlatano, bensì un noto professore di Stanford.
Un ufologo a Stanford
Secondo Garry Nolan non solo gli alieni esisterebbero, ma sarebbero tra noi già da migliaia di anni, osservandoci con droni e studiandoci con l’Intelligenza Artificiale. Anche se può sembrarlo, Garry Nolan non è l’ultimo ufologo o complottista arrivato, ma un professore della scuola medica della Stanford University con un dottorato di ricerca in genetica, oltre 300 pubblicazioni scientifiche, 51 brevetti e 8 aziende biotecnologiche da lui fondate, che lo pongono tra i primi 25 inventori a Stanford.
Ma Nolan afferma anche di essere stato consulente dei servizi d’intelligence americani che gli avrebbero chiesto di esaminare le risonanze magnetiche del cervello di alcuni piloti d’aereo coinvolti in presunti fenomeni Uap, gli Unidentified anomaoulus phenomena, una categoria più vasta di fenomeni inspiegabili che includono, come sottoinsieme, i cari e vecchi Ufo, gli oggetti volanti non identificati. Dalle risonanze, Nolan avrebbe riscontrato un forte danneggiamento del tessuto cerebrale con alterazioni simili a quelle delle persone affette da sclerosi multipla.
Il professore sostiene anche di aver analizzato frammenti presumibilmente provenienti da Ufo e di aver trovato, almeno nel caso di un campione di magnesio prodotto dall’esplosione di un presunto Ufo in Brasile, insoliti rapporti tra isotopi radioattivi.
Infine, Nolan afferma di conoscere persone che stanno portando avanti studi di ingegneria inversa su tecnologie Uap per svelarne il funzionamento. Nonostante queste sorprendenti convinzioni, però, Nolan resta pur sempre uno scienziato che conosce il valore fondamentale delle prove scientifiche, tanto da affermare in un’intervista allo Stanford Magazine: “Non ho qualcosa che galleggi con l’antigravità da mettere sul tavolo della cucina e da indicare ai miei amici come prova. Non ho ancora dati seri tra le mie mani ma non impeditemi di ottenerli”.
Cripto-terrestri e Intelligenze non umane
Negli anni il dibattito sugli Uap si è polarizzato: da una parte quelli convinti che siano frutto di tecnologie avanzate e segrete ma comunque umane e dall’altra quelli che pensano siano di origine extraterrestre. Esistono, però, anche teorie più estreme secondo le quali gli Uap sarebbero prodotti da intelligenze non umane ma già presenti nell’ambiente terrestre. È l’ipotesi della Non Human Intelligence (Nhi). Al riguardo, nelle scorse settimane, uno studio per la rivista Philosophy and Cosmology (ma non ancora sottoposto a revisione paritaria) è rimbalzato un po’ dappertutto sui mezzi d’informazione ed è facile capire perché.
Gli autori sono tre docenti universitari, due di Harvard, lo psicologo Tim Lomas e il teologo Brendan Case e uno della Montana Technological University, l’antropologo-biologo Michael P. Masters. Nello studio sostengono che
all’origine degli Uap potrebbero esservi dei cripto-terrestri, cioè entità esistite lungo tutta la storia dell’umanità e forse anche prima dell’Homo sapiens, ma nascoste in luoghi inaccessibili come il sottosuolo, sulla Luna o in piena vista, confusi fra gli umani.
La chiamano Crypto-Terrestrial Hypothesis e formulano non una, ma ben quattro teorie sull’origine degli Uap.
Vediamole più in dettaglio. Cripto-terrestri umani: un’antica civiltà umana tecnologicamente avanzata, in gran parte distrutta molto tempo fa (ad esempio da un’inondazione), ma che continua a esistere in forma residuale nascosta sottoterra. Cripto-terrestri ominidi o teropodi (dinosauri): una civiltà non umana, tecnologicamente avanzata, costituita da qualche animale terrestre che si è evoluto per vivere nascosto, forse una specie di ominide o una specie molto più distante da noi, ad esempio, discendenti di dinosauri intelligenti sconosciuti.
Cripto-terrestri extraterrestri o extra-tempore: alieni giunti sulla Terra da altri pianeti o umani venuti dal futuro per studiare la nostra epoca, che si nascondono in luoghi segreti e inaccessibili. Cripto-terrestri magici: entità molto più simili a esseri ‘angelici terrestri’ che ad alieni e che si relazionano con noi umani in modi meno tecnologici e più magici, conosciuti con i nomi di fate, elfi, ninfe, folletti. Nella premessa a questo studio gli autori mettono le mani avanti scrivendo: “riconosciamo che queste ipotesi possono essere considerate con scetticismo dalla maggior parte degli scienziati, ma sosteniamo che, invece, meritino di essere prese in considerazione con spirito di umiltà e apertura epistemica”. In attesa della revisione dello studio, concediamo che abbiano voluto lanciare una provocazione che si inserisce nel filone delle teorie sull’esistenza di intelligenze ‘altre’, come quella dello zoo spaziale proposta in uno studio pubblicato a gennaio di quest’anno su Nature Astronomy.
Come in uno zoo, ma spaziale
Per gli astrobiologi Ian A. Crawford dell’università di Londra e Dirk Schulze-Makuch dell’università di Berlino i motivi per cui non abbiamo ancora incontrato altre forme di vita intelligente sarebbero due:
o le civiltà extraterrestri avanzate sono davvero molto rare se non del tutto assenti, oppure gli alieni ci hanno chiusi in una sorta di zoo e ci osservano senza mostrarsi.
Gli autori propendono per questa ipotesi o per quella di ‘nessuna civiltà extraterrestre avanzata’ ma sono consapevoli dei limiti di questa posizione. Si potrebbe, infatti, obiettare che non tutte le civiltà aliene potrebbero essere così ‘isolazioniste’ o, ancora, potrebbe essere valido uno scenario alla Star Trek con gli alieni che non interferiscono, in attesa che raggiungiamo un determinato livello di progresso tecnologico. Crawford e Schulze-Makuch, però, sono anche convinti che impegnandoci fortemente nell’esplorazione dell’universo potremmo risolvere la questione entro i prossimi 50 anni perché, se gli alieni esistessero, per loro sarebbe sempre più difficile nascondersi a causa del progredire delle nostre capacità tecnologiche. Col tempo, infatti, saremmo capaci di individuare le tecno-firme delle civiltà avanzate (come le Sfere di Dyson) o le conseguenze termodinamiche e gli scarti delle loro attività come, ad esempio, i detriti spaziali.
Gli esopianeti, James Webb e Giordano Bruno
La ricerca di altre intelligenze nell’universo resta uno dei misteri più affascinanti per l’umanità e una sfida nella quale può esprimere il meglio della sua intelligenza affidandosi alla scienza e alla ricerca delle prove. È il metodo che quattro secoli fa ci ha insegnato Galileo Galilei, uno che di scienza e di universo se ne intendeva. Ma rispetto a quei tempi, oggi abbiamo tanta tecnologia in più: telescopi terrestri e spaziali come il James Webb, radiotelescopi e sonde che ci stanno spalancando le porte di quell’ultima frontiera, lo spazio, per andare alla ricerca di nuovi mondi e altre civiltà, permettendoci di guardare là dove nessuno sguardo umano è mai giunto prima. Strumenti che ci hanno già svelato più di 5.000 esopianeti confermati, tra i miliardi esistenti solo nella nostra galassia, mentre altre migliaia di ‘candidati’ sono in attesa di conferma. E poi altri e altri ancora, forse infiniti mondi in tutto l’universo, che aspettano solo di essere scoperti. Ah, se Giordano Bruno potesse vedere tutto questo!
Credits Copertina: Runway AI generator
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