31.05.2024 Matteo Marini

Spazio malato, detriti, razzi e satelliti defunti: cosa si fa per tenerlo pulito

Nuvola di detriti spaziali

Ad aprile, il satellite di una compagnia giapponese, Astroscale, ha fotografato il relitto di un razzo rimasto in orbita per 15 anni. Continuava a girare attorno alla Terra, ormai senza scopo. Spazzatura. Era il primo approccio per rimuovere quello e altra ferraglia che inquina l’orbita terrestre bassa. Nel 2024, 84 anni dopo la prima foto mai scattata da oltre l’atmosfera (con un razzo V2 americano) quando lassù non c'era niente e nessuno e solo governi e militari avevano i mezzi e, se vogliamo, una convenienza pratica e immediata per andarci, ora lo spazio è diventato talmente importante che si comincia a ripulirlo.

Come per il riscaldamento globale e l’inquinamento da plastiche, al pari del nostro Pianeta, ci siamo accorti piuttosto tardi che anche lo spazio attorno è malato. Le orbite più importanti cominciano ad affollarsi di migliaia di satelliti, pochi molto grandi, tantissimi di piccole o minuscole dimensioni. E tanti, tantissimi relitti, frammenti, spazzatura. Con due rischi: che si scontrino tra loro o che ci cadano in testa.

Un relitto di un razzo fotografato nello spazio

Il relitto del razzo fotografato da Astroscale

All’ultimo Space council dell’Agenzia spaziale europea con il Consiglio dell’Ue, 12 Paesi hanno firmato la Zero debris charter, la Carta che impegna a prendere le misure necessarie a tenere lo spazio pulito da detriti e spazzatura e a diventare debris neutral entro il 2030. Sono Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Germania, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito. Altre ne seguiranno, secondo l’Esa più di 100 organizzazioni hanno promesso di aderire. È un passo importante anche se ancora non decisivo in un’epoca della consapevolezza.

La malattia dello spazio

Per sindrome (o effetto) di Kessler si intende l’effetto a cascata che porta al progressivo deterioramento delle orbite, in particolare quelle basse (al di sotto dei 2.000 chilometri), nelle quali nel corso di 67 anni di lanci, sono arrivati oltre 15.000 oggetti (satelliti, telescopi, sonde, stazioni spaziali ed elementi di razzi). Al momento sono oltre 11.000, più della metà dei quali sono stati lanciati negli ultimi tre anni. Poi ci sono i detriti, frammenti più piccoli originati, principalmente, da esplosioni improvvise e inaspettate di satelliti e razzi: 34.000 grandi oltre 10 centimetri, 900.000 tra 1 e 10 centimetri e ben 128 milioni tra un millimetro e un centimetro. Questi pezzi, assieme a satelliti spenti e non più manovrabili, e gli ultimi stadi di vettori, come quello fotografato da Astroscale, sono la causa principale di questa sindrome.

Nuvola di detriti spaziali

La distribuzione dei detriti spaziali - Credits: Esa

La Stazione spaziale internazionale è costretta, ogni anno, a compiere sempre più manovre per evitare un pezzo di spazzatura. Ma oggetti incontrollabili procedono a grandi velocità (quasi 8 chilometri al secondo) senza possibilità di evitarsi. Nel lungo periodo, può generare impatti e frammentazioni, con un effetto a cascata che, superato un certo punto, potrebbe rendere rischioso o, alle estreme conseguenze, addirittura impossibile, l’accesso allo spazio. Questo avrà conseguenze sulla vita sulla Terra, perché lassù orbitano infrastrutture e dispositivi che offrono servizi ormai indispensabili qui, da internet al posizionamento, dalle comunicazioni alle osservazioni della Terra.

C’è spazio per tutti (?)

Si è creduto a lungo, erroneamente, e fino a poco tempo fa, che lassù ci fosse spazio davvero per tutti. Quando è iniziata però la costruzione di grandi costellazioni, come Starlink o OneWeb, e presto Kuiper e le altre che seguiranno, agli addetti del settore è apparso subito chiaro che sono necessarie delle contromisure. Non esiste, per esempio, un accordo internazionale per regolare il traffico in orbita. Un problema molto sentito da parte delle agenzie spaziali e di aziende che devono spendere tempo e risorse per monitorare costantemente e, eventualmente, spostare un proprio satellite perché si rischia una collisione con un altro sulla stessa orbita o con un detrito.

Traiettorie tracciate sul globo terrestre dei satelliti Aeolus e Starlink

Solo nel 2023 sono stati immessi in orbita (e lo sono ancora) 2810 oggetti, secondo il registro dell’Ufficio Onu per lo spazio extra atmosferico (Unoosa). Mai così tanti nella storia, e si tratta, soprattutto, di satelliti Starlink.

Nel suo rapporto annuale sull’ambiente spaziale, l’Esa ha stimato che all’attuale ritmo di lanci, considerando eventi di frammentazione che inevitabilmente accadranno (esplosioni in orbita, per lo più), le collisioni catastrofiche non potranno far altro che aumentare, come un’impennata il cui andamento, nei prossimi decenni e secoli, si avvicina a una curva esponenziale.

Fare spazio

Il Vanguard 1 è un satellite lanciato nel 1958, una palla di alluminio che starebbe comoda del palmo di una mano e detiene il record di più antico oggetto artificiale in orbita terrestre. Come lui, altri residui di epoche passate, archeologia dell’esplorazione spaziale, viaggiano là fuori, a grande velocità. E siccome sono defunti, sono ingovernabili. Era il caso di Kosmos 2251, satellite militare russo inattivo che, nel 2009, si scontrò contro Iridium 33 (satellite per comunicazioni che era però ancora funzionante). L’esito fu una nube di migliaia di pezzetti in dispersione, ognuno un nuovo proiettile con velocità dell’ordine di chilometri al secondo.

La prima regola di buon senso è quindi quella di togliere di mezzo ciò che è a fine vita, per un motivo quasi banale: una volta esaurita l’energia, un satellite non è più controllabile. Le orbite sono come autostrade sulle quali si corre veloce, ma quando un satellite si rompe, invece di fermarsi come le auto, continua alla stessa velocità senza nessuno al volante. E per entrare in orbita, ogni satellite deve viaggiare a quasi 8 chilometri al secondo. Per questo motivo, negli ultimi anni si riserva parte del carburante per le ultime manovre che servono a spostare il satellite.

La stazione spaziale russa Mir e lo Space Shuttle

La stazione spaziale russa Mir e lo Space Shuttle. La Mir fu fatta precipitare nel Pacifico il 23 marzo 2011 - Credits: Nasa

Le opzioni sono due, a seconda di dove ci si trova. I satelliti in orbita bassa vengono di solito guidati in un rientro controllato in atmosfera, durante il quale bruciano completamente, nel caso di grandi strutture (era il caso della Mir russa, della prima Tiangong cinese e sarà il caso della Stazione spaziale internazionale tra qualche anno) si mira all’oceano, in particolare il “punto Nemo”, la zona del Pacifico più distante da tutte le terre emerse. In orbita geostazionaria, a 36 mila chilometri di quota, invece non conviene rifare tutta la strada verso la Terra, e si preferisce innalzarsi di alcuni chilometri e parcheggiare in una cosiddetta orbita cimitero.

Scrive l’Esa nel suo rapporto: “Tra il 40 e il 70% di tutta la massa di payload (satelliti), escluso il volo spaziale umano, che si stima raggiunga la fine del ciclo di vita nell'ultimo decennio nella regione protetta in orbita bassa (Leo), avviene in orbite che si stima aderiscano alle misure di mitigazione dei detriti spaziali”. Significa che si sta facendo qualcosa, ma non basta.

Il problema dei razzi

Quando si spedisce qualcosa in orbita, solitamente il razzo è un vuoto a perdere. I primi stadi, le parti inferiori, una volta esaurito il carburante, non hanno l’energia sufficiente per entrare in orbita, e ricadono dopo pochi minuti (è il motivo per cui i lanci spaziali si effettuano prevalentemente da zone costiere o desertiche). Gli stadi superiori però, quelli che finiscono il lavoro rilasciando i “clienti” sulla propria orbita, sono destinati a restare lì. E sono un problema, anzi due.

Proprio come il Kosmos 2251, sono per la maggior parte relitti senza controllo e rischiano di impattare con altri simili o con satelliti operativi generando altri space debris.

L’altro problema è il decadimento. Se l’ultimo stadio di un razzo non è predisposto per un rientro controllato, potrebbe precipitare quasi ovunque lungo la propria orbita. E a differenza dei satelliti, molti elementi della loro massa, come i serbatoi, possono resistere al deorbiting e arrivare al suolo. Statisticamente è molto più probabile che cadano in mare o su una zona disabitata, ma il rischio che precipitino su una città e causino danni a cose o persone non zero.

La soglia internazionale di rischio riconosciuta, fissata anche dalla Zero debris charter dell’Esa, è di una probabilità su 10.000 di vittime.

Mappa con le ultime orbite lungo le quali sarebbe potuto cadere lo stadio del Luna Marcia 5B nel 2021

Una delle mappe che mostravano le ultime orbite lungo le quali sarebbe potuto cadere lo stadio del Luna Marcia 5B nel 2021

Non sono possibilità così remote. Basti ricordare l’apprensione per il rientro incontrollato di alcuni stadi di razzi cinesi nel 2020 (detriti probabilmente hanno colpito un villaggio in Costa d’Avorio, ma non ci sono state notizie di vittime) nel 2021 e nel 2022, oppure con la stazione spaziale Tiangong-2 nel 2019. L’allerta fu planetaria, si mobilitò anche la Protezione civile italiana assieme agli scienziati dell’Asi e dell’Inaf, perché è difficile stimare con molto anticipo quando e quindi dove precipiterà, e quanto della loro massa arriverà a toccare il suolo. Ogni lancio, quindi, crea detriti spaziali.

La buona notizia è che, sempre secondo l’Esa, “tra il 40 e il 90% dei corpi di razzi che giungono a fine vita nel decennio in corso [...] tentano di conformarsi alle misure di mitigazione dei detriti spaziali. Tra il 30% e l'80% lo fa con successo. Tra il 40% e il 50% dei razzi che hanno consegnato carichi utili nella regione protetta geostazionaria o in prossimità di essa nell'ultimo decennio sono conformi alle misure di mitigazione dei detriti spaziali”. Ma siamo ancora troppo lontani dal 100%, mentre i lanci spaziali aumentano ogni anno: “Sebbene l'adozione e l'osservanza delle pratiche di mitigazione dei detriti spaziali a livello globale sia in lento aumento, è importante notare che l'attuazione efficace è ancora a un livello troppo basso per garantire un ambiente sostenibile nel lungo periodo”. Una legge italiana per lo spazio è attesa nei prossimi mesi, mentre per una regolamentazione europea bisognerà attendere la legislatura che inizierà nell’estate 2024. Mancano però regole o trattati vincolanti che impongano queste misure a livello internazionale, per esempio in sede Onu. Ognuno, detta in parole povere, può fare come vuole.

Spazzini e carri attrezzi spaziali

Non è un caso che fosse proprio lo stadio di un razzo quello fotografato da Astroscale. L’azienda giapponese ha sta lavorando a missioni per acciuffare questi zombie orbitanti e tirarli giù, per deorbitare in atmosfera sopra all’oceano. Le missioni cosiddette di in orbit servicing sono parte del futuro delle attività spaziali. Si tratta di spostare, togliere di mezzo appunto, ciò che è diventato superfluo come satelliti e razzi. In orbita geostazionaria, di afferrare un satellite e spostarlo in un’orbita cimitero. O anche afferrare e rimuovere detriti. Missioni di questo tipo sono in preparazione anche in Europa e nel Regno Unito, con la compagnia ClearSpace.

Simulazione di una missione di rimozione di un satellite - Credits: Esa

Simulazione di una missione di rimozione di un satellite - Credits: Esa

Un altro modo per rendere sostenibili le attività spaziali è quello di allungare la vita dei satelliti già operativi, con rifornimenti di carburante ed energia, senza il bisogno di sostituirli e lanciarne altri. L’in orbit servicing è anche questo. Thales Alenia Space, joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%), è stata selezionata dalla Commissione Europea per guidare Eross Iod (European Robotic Orbital Support Services In Orbit Demonstrator), il programma per sviluppare entro il 2026 un satellite dedicato ai servizi di assistenza in orbita come rendez-vous, cattura, aggancio, rifornimento e scambio di payload dei satelliti. Un’altra missione simile per l’Asi è finanziata con fondi Pnrr e vede all’opera un consorzio di imprese capitanata sempre da Thales, a cui partecipa anche Leonardo. Il braccio robotico che la sonda userà per eseguire le operazioni è sviluppato infatti nello stabilimento di Nerviano (Milano) del colosso italiano in collaborazione con Sab Aerospace, l'Infn e l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). I progetti si moltiplicano in tutto il mondo, l’in orbit servicing è uno dei nuovi capitoli della new space economy.

Da quando lo spazio è diventato così prezioso, c’è un’intensa attività di monitoraggio del traffico sulle nostre teste. Le orbite di tutti gli oggetti, satelliti, relitti e frammenti, sono tracciate minuto per minuto usando telescopi, radar e stazioni laser, eventuali rischi di collisioni vengono misurati e segnalati. Negli Stati Uniti la Nasa e la US Space force hanno un programma di monitoraggio dedicato, l’Europa ha il consorzio EU Space Surveillance and Tracking al quale l’Italia partecipa con l’Agenzia spaziale italiana, l’Istituto nazionale di Astrofisica e il ministero della Difesa.

La grande antenna dell’osservatorio di Medicina

La grande antenna dell’osservatorio di Medicina - Credits: Inaf

A questa attività monitoraggio partecipa anche Leonardo, a supporto dell’Aeronautica militare con la sua controllata Vitrociset. L’azienda opera nell’ambito delle tecnologie radar e software di processamento dei dati. In occasione del rientro del Lunga Marcia 5B del 2021, Vitrociset ha collaborato alla determinazione orbitale, tramite il sistema denominato Isoc 1.0, realizzato dai propri ingegneri ed esperti di software, e dal Poligono Salto di Quirra (Nu) in Sardegna, con il Trasmettitore radio frequenza (Trf) il cui trasmettitore è stato interamente progettato e realizzato proprio dall’azienda controllata da Leonardo.

Scontri, esplosioni e missili

Ma da dove arrivano tutti questi frammenti? Come accennato, la maggior parte si è originata da esplosioni accidentali in satelliti e razzi ormai defunti, situazioni impreviste che possono essere prevenute “passivando” le sorgenti di energia una volta terminata la vita operativa. Delle collisioni accidentali tra satelliti, la più disastrosa è stata proprio quella tra Kosmos 2251 e Iridium 33. Ma c’è anche l’azione intenzionale dell’uomo a creare problemi.

La Nato, nel 2019, ha dichiarato lo spazio dominio operativo, un possibile teatro di guerra. Gli asset in orbita sono diventate anche possibili obiettivi militari e dimostrare di poterli colpire è una ulteriore dimostrazione di potenza e deterrenza nei confronti delle altre potenze. Cina, Stati Uniti, Russia e anche India hanno testato sistemi Asat (anti-satellite) contro uno dei propri satelliti. Ognuno di questi ha provocato nuvole di detriti in orbita bassa, l’ultima in ordine di tempo è stata la Russia: nel novembre 2022 ha abbattuto Kosmos 1408, un proprio satellite defunto da quasi 40 anni. La nuvola di detriti che si è originata ha messo in pericolo gli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale, costretti a manovrare per evitarli.