Il conflitto russo-ucraino al tempo del digitale
Grande è la confusione sotto il cielo, recita un adagio cinese attribuito a Mao, e sembra che questo motto sapienzale ancor meglio si attagli alle dinamiche del digitale: perché mentre centomila militari russi, coadiuvati da forze corazzate, vanno assembrandosi al confine con l’Ucraina, in attesa di un ordine che potrebbe cambiare il corso della storia per come la conosciamo e la tensione a livello mondiale si rende incandescente, nell’ecosistema digitale le cose appaiono più complesse e intricate e certe alleanze analogiche che sembrerebbero consolidate vengono invece messe in discussione.
Le autorità russe hanno infatti aiutato, non banalmente, quelle americane per mettere le mani sul collettivo hacker REVil, responsabile nei mesi scorsi di una serie di gravi attacchi alla infrastruttura digitale a stelle e strisce: allo stesso tempo, la Russia, stando a quanto sostengono fonti della sicurezza cyber ucraina, starebbe sottoponendo a crescente pressione gli snodi digitali del Paese ex sovietico.
Una serie di attacchi concentrici che pongono una questione che agli analisti non è sfuggita: fin dove potranno spingersi i soldati digitali russi?
E’ noto come nel corso degli ultimi anni, le forze militari russe si siano servite non episodicamente di hacker e di disinformatori protagonisti di autentiche campagne di propaganda digitale: la controversa I.R.A. ha punteggiato le cronache americane in tempo di elezioni, quando a sorpresa venne eletto Donald Trump, facendo talmente tanta sensazione che il Pentagono decise di correre ai ripati costituendo ex novo degli uffici dedicati alle guerre ibride e alla propaganda pop spesso patrocinata dai russi.
Giocare su distinti piani sembra entrare in un preciso piano di escalation tenue, al fine di non incorrere in un conflitto aperto dagli esiti imprevedibili: occupare cioè più tavoli, traslandosi da una tensione geopolitica classica, mostrando i muscoli delle divisioni corazzate, al connettersi con l’apparente nemico per concedere qualche favore che renda più difficile per questo ultimo decidere chi davvero è il nemico.
Una logica del caos, della entropia digitale, che si serve, in alcuni casi in maniera indiretta e surrettizia, in altri casi diretta e organica, di hacker, mercenari digitali, esperti di cybersecurity, e di relazioni decisamente opache, nella riproposizione di una guerriglia partigiana nel senso che fu di Carl Schmitt: la guerra digitale della inimicizia assoluta che assolda mercenari e pirati per colpire tutti quegli obiettivi che il diritto bellico al contrario ambisce a tutelare e a porre fuori dal perimetro delle ostilità. Ospedali, scuole, centrali elettriche e nucleari, servizi pubblici essenziali.
Per lungo tempo, la Russia ha costituito uno spazio franco e sicuro per orde hacker, un Paese da cui sono partiti alcuni dei più devastanti attacchi ransomware come quello che ha messo in ginocchio il sistema energetico aggredendo Colonial Pipeline, nel maggio 2021: poi d’un tratto e senza che si fossero registrati segni di un qualche ripensamento, ecco l’operazione dell’FSB che, in collaborazione con le forze di polizia americane con cui è intercorso un ampio scambio informativo, ha posto in stato di arresto i membri di REVil, tra cui quello responsabile, collegato a DarkSide, sotto-sezione di REVil, del collasso di Colonial Pipeline.
L’interpretazione più accreditata di queste oscillazioni strategiche la forniscono dal think tank Silverado Policy Accelerator, con sede a Washington; gli hacker vengono ‘sacrificati’ non solo per mostrare volontà di raffreddamento della tensione ma anche per lanciare il messaggio per cui in caso gli USA decidessero di non emanare sanzioni per il conflitto con l’Ucraina, le autorità russe potrebbero continuare nel neutralizzare le bande pirata responsabili di sempre maggiori, e più preoccupanti, attacchi contro le infrastrutture e le imprese statunitensi.
Difficile dire però se questo messaggio sia destinato a durare o a consolidarsi, perché alcuni precedenti sono in questa prospettiva assai poco confortanti: in alcune operazioni anti-hacker, le autorità russe hanno dimostrato di essere più interessate all’arruolamento dei sospettati tratti in stato di fermo piuttosto che alla neutralizzazione di rischi cyber.
Credits Copertina: Pexels.com
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