L’antitrust e i giganti tecnologici
Quando si pensa alla regolamentazione delle piattaforme digitali, la domanda fondamentale da porsi è perché vi sia in questo momento così tanta attenzione concentrata su di esse.
La prima ragione è che le società GAFAM – Google, Apple, Meta (Facebook), Amazon e Microsoft – sono cresciute molto rapidamente. Se guardiamo ai parametri classici di performance (ricavi, redditività e capitalizzazione di mercato) per ciascuna di queste aziende, a partire dal 2010, si nota un tasso di crescita significativo, nonostante fossero già grandi nel 2010. Un tasso di crescita che non ha precedenti ed è chiaramente legato all’innovazione tecnologica. La seconda ragione è che è divenuto ormai chiaro che queste aziende hanno raggiunto la loro posizione attuale anche grazie a fusioni e acquisizioni durante il decennio 2010-20. Ciascuna di esse ha completato decine di acquisizioni, e i numerosi asset e il know how acquisiti sono andati ad aggiungersi a quelli già presenti, e ciò è avvenuto in settori caratterizzati da forti effetti di rete ed economie di scala, per esempio sui dati. Le aziende hanno acquisito un vantaggio competitivo piuttosto significativo rispetto ai loro concorrenti. E mentre dieci-quindici anni fa si pensava che i mercati si sarebbero in qualche modo autocorretti, sono ormai ben pochi gli economisti o analisti a credere che si possano autocorreggere nel breve periodo senza un intervento esterno. Abbiamo inoltre appreso recentemente che alcune delle pratiche commerciali a cui abbiamo assistito, a causa delle dimensioni di queste aziende, delle economie di scala e di scopo e degli effetti di rete che sono in gioco, sono potenzialmente problematiche dal punto di vista della concorrenza e questa consapevolezza è alla base di una serie di procedimenti antitrust attualmente in corso.
Sebbene nel breve periodo in molti mercati digitali ciò abbia avuto un effetto tutto sommato positivo per le imprese e i consumatori, in alcuni di questi mercati sono emerse crescenti preoccupazioni legate alla mancanza di competitività e all’estrazione di rendite da parte delle imprese, anche connesse alla crescita significativa della loro redditività. Concorrenti delle società GAFAM si sono rivolti sempre più spesso alle autorità antitrust con denunce specifiche in merito a particolari pratiche commerciali. Anche i media hanno cominciato a dedicare spazio a questi temi, in alcuni casi su sollecitazione dei concorrenti e delle commissioni parlamentari. Alimentando un dibattito che ha ormai assunto toni accesi.
Al contempo, si è assistito a un aumento significativo del contezioso, poiché alcune aziende hanno condotto azioni legali individuali contro le GAFAM (per esempio, Epic Games e Match.com hanno fatto causa ad Apple e Google per ottenere migliori condizioni di accesso all’Apple Store e al Google Play Store negli Stati Uniti e in Australia). Si è registrato un incremento significativo delle azioni collettive per conto di aziende o consumatori colpiti negativamente da alcune di queste condotte. È interessante notare che ciò avviene in parallelo in diversi mercati e giurisdizioni. Se guardiamo alla storia dei casi antitrust e della regolamentazione ex ante in mercati come quello delle telecomunicazioni, dell’energia, delle ferrovie o della vendita al dettaglio di generi alimentari, vediamo una serie di mercati in cui essenzialmente vi è stata un’attività storica di enforcement contro i monopoli e i comportamenti commerciali di aziende in posizione dominante, ma è avvenuto a livello nazionale contro aziende nazionali. Qui invece assistiamo, per la prima volta nella storia, alle stesse aziende che si trovano ad affrontare svariate cause antitrust in parallelo e a fronteggiare iniziative normative in diversi mercati su questioni molto simili, perché l’innovazione tecnologica ha permesso, in particolare in settori come i social media o la pubblicità digitale online, a queste aziende di estendere rapidamente e su larga scala i loro modelli di business a livello globale.
Tra le aree sottoposte a un controllo crescente vi sono le condizioni di accesso per gli app developers all’Apple Store o al Google Play Store e varie restrizioni, per esempio, all’uso di metodi di pagamento forniti da operatori terzi. In merito ad Amazon, le principali preoccupazioni riguardano il suo rapporto con i venditori terzi che operano sull’Amazon marketplace, sia per l’utilizzo da parte del soggetto dominante dei loro dati, sia per le condizioni commerciali per la distribuzione o l’advertising. Per Google, sono state sollevate preoccupazioni su Google search, che è la fonte principale di reddito dell’azienda e sull’accesso per le app al Google Play Store; inoltre una serie di casi molto importanti ha coinvolto l’advertising tech stack (ad tech stack), cioè le piattaforme utilizzate per abbinare gli inserzionisti con i fornitori di contenuti sul web, per esempio gli editori di notizie. Per Meta, si è trattato principalmente di accesso ai dati di terzi e di considerazioni sulla privacy relativi alla pubblicità comportamentale mirata. Per Microsoft i casi antitrust europei si sono concentrati principalmente sulle sue pratiche di gestione delle licenze software e la concorrenza nel mercato del cloud computing.
In pratica, si nota una significativa somiglianza e sovrapposizione tra i mercati interessati e le pratiche commerciali prese in esame nelle diverse giurisdizioni. Ogni paese deve far leva sul proprio bagaglio normativo per identificare gli strumenti più efficaci per intervenire su questi problemi, per cui ciascuno ha adottato iniziative legislative specifiche (sicché gli strumenti normativi e i casi antitrust differiscono da paese a paese). Questo vale sia per la legislazione e gli strumenti regolatori esistenti, sia per il modo in cui i diversi paesi hanno affrontato le potenziali lacune quando si sono resi conto che le leggi e le regolamentazioni esistenti non erano sufficienti ad affrontare i problemi che abbiamo di fronte. Negli Stati Uniti, finora non vi è stata alcuna iniziativa legislativa di successo. Soprattutto da quando l’amministrazione Biden ha nominato i nuovi vertici delle agenzie antitrust, l’area in cui si riscontra il maggior movimento sono i casi antitrust. Al momento sono in corso due importanti casi portati avanti dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ), una relativa a Google search e una che andrà a processo l’anno prossimo in merito all’ad tech stack per la pubblicità online. La Federal Trade Commission (FTC) ha attualmente in corso due casi importanti, uno contro Meta, incentrato principalmente sulle passate acquisizioni di Instagram e WhatsApp, e uno recente contro Amazon.
Nell’Unione europea, il principale elemento di sviluppo è rappresentato dall’introduzione del Digital Markets Act (DMA). La legge è in vigore e sono state designate alcune società – le GAFAM e TikTok – che sono ora soggette a una serie di regolamentazioni ex ante che entreranno in vigore all’inizio di aprile 2024. In particolare, sono stati designati, tra tutte e sei le società, ben ventidue core platform services, tra cui l’Apple Store, le piattaforme di social media di Meta, il sistema operativo Google Android per i cellulari e il motore di ricerca di Google. Al momento, queste aziende sono concentrate sull’implementazione della DMA e delle sue regolamentazioni e sui cambiamenti necessari ai loro modelli di business per soddisfarne i requisiti.
Nel Regno Unito è in discussione un disegno di legge simile alla DMA, denominato Digital Markets Competition and Consumer Bill (DMCC), che conferirà alla Competition and Markets Authority poteri normativi per aumentare la concorrenza in mercati analoghi, con meccanismi leggermente diversi ma con un obiettivo affine.
Un’altra questione è poi se tutta l’attenzione sia davvero dovuta (anche solo principalmente) a preoccupazioni legate al potere di mercato di queste aziende e a potenziali distorsioni della concorrenza o se sia invece dovuta ad altre considerazioni di carattere normativo. In realtà è probabile si tratti più della seconda ipotesi che della prima. Se pensiamo ai social media, per esempio, c’è sicuramente una questione legata al potere di mercato di aziende come Meta, che hanno una posizione molto forte. D’altro canto, però, vi sono problematiche che non riguardano direttamente il potere di mercato – tanto è vero che coinvolgono social media network più piccoli – ma aspetti come il linguaggio degli haters online, la diffusione di disinformazione, il pluralismo dei media, i rischi per le elezioni e, più in generale, per il processo democratico. È per questa ragione che, parallelamente al dibattito sulla nuova legislazione per gestire il potere di mercato attraverso la DMA nell’UE e il DMCC nel Regno Unito, come già accennato, è stata introdotta una nuova legislazione che affronta esplicitamente questi problemi per tutti i social media, compresi quelli che hanno una posizione più limitata nel mercato. Ciò è avvenuto tramite il Digital Services Act (DSA) nell’Unione europea e l’Online Safety Bill nel Regno Unito. Queste leggi impongono determinate condizioni alle aziende rendendole responsabili dei contenuti pubblicati sulle proprie piattaforme. Si tratta di un sistema basato su linee guida, ma anche su sanzioni potenzialmente salate se le aziende non dedicano risorse significative a garantire fiducia e sicurezza sulle loro piattaforme – sia in termini di investimenti in intelligenza artificiale da utilizzare dietro le quinte per rimuovere automaticamente i post che violano queste regole, sia nell’utilizzo di moderatori umani dei contenuti.
Sono state inoltre sollevate notevoli preoccupazioni sulla privacy ed essenzialmente sull’uso di pubblicità comportamentale mirata, che è il principale generatore di ricavi per le piattaforme di Meta, TikTok e YouTube. L’utilizzo in modo estensivo di questi strumenti è probabilmente dovuto alla potenziale mancanza di incisività delle autorità nazionali di regolamentazione della privacy nell’attuare queste leggi e al fatto che, per esempio, negli Stati Uniti manca una legislazione federale sulla privacy (la legislazione sulla privacy è in vigore solo in alcuni Stati).
I mercati finanziari mostrano segni di preoccupazione per l’aumento dell’attività normativa? Probabilmente no, perlomeno in questa fase. Ciò dipende principalmente da due motivi: in primo luogo gli analisti azionari e gli investitori sono molto più concentrati sulle nuove tecnologie e sulle nuove dinamiche competitive in atto. Per esempio, negli ultimi mesi, il posizionamento competitivo di queste aziende rispetto all’uso di intelligenza artificiale e di Large Language Models ha influenzato il prezzo delle loro azioni probabilmente molto di più rispetto al rischio normativo. In secondo luogo, gli investitori danno poco peso al rischio normativo a causa (almeno in parte) della lentezza di intervento e in parte per il fatto che il cambiamento introdotto dalla nuova normativa sarà probabilmente piuttosto lento e progressivo.
Che cosa accadrà nei prossimi anni? Nell’Unione europea e nel Regno Unito, si tratterà di attuare le nuove leggi e regolamentazioni. L’attenzione si concentrerà sul modo in cui queste aziende modificheranno i loro modelli di business per conformarsi alle modifiche normative in arrivo. Alcuni dei casi in corso negli Stati Uniti hanno una chance maggiore di generare cambiamenti strutturali, potenzialmente con cessioni di asset importanti, ma questi interventi richiederanno tempo, e le autorità, secondo numerosi commentatori, hanno di fronte una battaglia difficile per riuscire a imporre rimedi forti. Non dobbiamo dimenticare però quanto abbiamo imparato negli ultimi tre anni: quando i parlamenti nazionali, o il parlamento europeo, sono convinti che vi sia davvero un problema importante, questi sono in grado di agire rapidamente e in modo efficace.
Quindi, se nei prossimi due o tre anni dovessimo vedere attriti e battaglie ma con risultati non significativi, è possibile attendersi l’emergere di ulteriori iniziative legislative ancora più drastiche, che potranno avere un impatto significativo già nel breve termine.
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