Umano, poco umano: come resistere alla sostituzione tecnica
Nell’orizzonte della Tecnica la compiuta libera potenza dell’uomo sarà realizzata quando la nostra capacità di ri-creare il mondo sarà assoluta. Tutte le forze della tecno-scienza devono essere rivolte a questo fine “divino”: l’onnipotenza della creazione di una nuova natura immortale.
Come Dio esprime la sua potenza assoluta nella creazione e genera l’uomo a sua immagine e somiglianza, così l’uomo, per partecipare della somiglianza a Dio, crea a sua volta, e in questo atto realizza la sua libera essenza. E l’intelletto umano ritiene possibile sperimentare di ricreare tanto il corpo quanto la mente: tutto può essere reso artificiale. Tuttavia Dio dà vita a creature libere, l’uomo intende invece produrre macchine che siano al suo servizio.
Eppure la rivoluzione tecnologica totale in cui siamo immersi, se da un lato manifesta la capacità creativa dell’umano, dall’altro ci fa percepire sempre più impotenti di fronte alle nostre creature – che risultano sostanzialmente più efficienti e abili di chi le ha create – e ci rende dunque potenzialmente sostituibili in tutti gli ambiti del fare. Ed è proprio al rischio della sostituzione tecnica che Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti in “Umano, poco umano. Esercizi spirituali contro l’intelligenza artificiale” (Piemme 2024) propongono di reagire redigendo un “manuale di resistenza spirituale” contro l’intelligenza artificiale. «Il grande rischio dell’IA non è che essa diventi come l’intelligenza umana, ma semmai il contrario: che l’intelligenza umana smarrisca le sue caratteristiche peculiari e si appiattisca su quella artificiale, venendone travolta. (…)
Noi stessi siamo già un organismo digitalmente modificato, poiché – nella nostra vita di ogni giorno – siamo funzionali a un codice algoritmico che, una volta creato, dispone di ampi margini di autonomia e di intervento». A mutare radicalmente è il nostro esserci perché il diventar uomo della macchina, che costituisce l’ideale regolativo dell’IA, è altrettanto bene il poter diventar macchina dell’uomo, la sua disumanizzazione. L’apparato tecnico-scientifico manifesta la volontà di potenza dell’uomo: la macchina, riproducendone e perfezionandone tanto le funzioni fisio-biologiche quanto quelle di pensiero calcolante, ne potenzia la capacità di trasformare il mondo e di dominarlo. Tuttavia, contro ogni mitologia del progresso, ne erode lo spazio di azione, ne modifica il modo in cui si percepisce e si rapporta al mondo e all’altro, e lo rende variabile dipendente del sistema tecnico-scientifico che si presenta come intrascendibile e ineludibile. Da Superuomo tecnico a “Oltreuomo digitale”, “post-umano digitalmente modificato”.
Che cosa è l’uomo è domanda filosofica per eccellenza e quanto mai decisiva nell’epoca contemporanea che sta sulla soglia della possibile Grande Sostituzione.
Come far fronte dunque alla degenerazione che investe l’humanum in quanto tale? Per Crippa e Girgenti occorre ritornare all’uomo classico, all’uomo che nasce dalla fusione di orizzonti tra la tradizione greco-romana e giudaico-cristiana.
È cioè necessario ripensare che cosa è l’uomo attraverso dieci esercizi spirituali, che riguardano l’intelligenza naturale, le passioni carnali e la morte biologica, operati attraverso alcuni grandi autori della tradizione classica e cristiana. La presa di coscienza critica dei rischi, delle modificazioni anche patologiche e dei contraccolpi che l’IA comporta per la nostra anima, conduce all’esigenza di riattingere il proprium irriducibile dell’umano, il suo essere un Io cosciente, che si pone domande, dubbi, e capace di intuizioni creative e di immaginazione, di amore, di empatia, di ironia, di irrazionalità, di decisione e di intuizione, di emozioni e di sentimenti.
«Viaggiamo spediti verso il punto oltre il quale non saremo in grado di riconoscere né l’umano né l’inumano. La tecnologia provocherà una dimensione indifferenziata nella quale il simbolo precede il reale, l’informazione precede l’evento». E in questo “nessuno digitale” esiste la possibilità concreta che l’uomo assuma i caratteri dell’irrilevanza: se «più de carmi il computar si ascolta» (Leopardi) rischia di spegnersi nell’insignificanza di fronte alla superpotenza dell’Apparato. Avere cura della nostra finitezza, del mistero che siamo, tecnicamente irriproducibile, dell’amore che possiamo gratuitamente donare, del nostro cuore, è, forse, la nostra speranza di salvezza?
Courtesy Images: Mondadori
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