30.01.2023 Stefano Bartezzaghi

Un demone e dieci nuvole

Leonardo Sinisgalli: ingegnere, poeta, fondatore di riviste aziendali, eccelso nel connubio tra scienza e poesia.

I direttori/1

Ingegnere, poeta, fondatore di riviste aziendali. La concomitanza di tre qualifiche come queste sembrerebbe preludere al ritratto di un personaggio letterario quasi grottesco, uno di quegli eruditi eccentrici e magari iconoclasti che sono essi stessi oggetto di racconti fantastici. Invece nessuno dei tre tasselli può essere omesso quando si tratta di delineare la reale figura – magari anomala ma certo non appartata o misconosciuta – di Leonardo Sinisgalli (1908-1981). 
Ingegnere industriale Sinisgalli lo divenne nel 1932 con una tesi che consisteva nel progetto di un aereo a motore leggero. Non praticò mai la professione. Aveva anche studiato matematica e le sue biografie parlano di una proposta per entrare nello staff del laboratorio di fisica di via Panisperna che gli sarebbe stata rivolta, invano, da Enrico Fermi.
Come poeta meritò le ripetute attenzioni di Gianfranco Contini, dalla cui antologia della “Letteratura dell’Italia unita 1861-1968” (Sansoni, 1968) rimasero pure esclusi autori molto più concordemente celebrati. Infine, quale fondatore di riviste aziendali (massima fra tutte “Civiltà delle Macchine”), esordì con “Pirelli” alla fine del 1948. Firmò il primo articolo nel numero successivo e gli diede egli stesso il titolo: “Il demone dell’analogia”. La formula ricorre in diversi titoli di saggi letterari altrui e parrebbe consegnarci un’indicazione di metodo, o anche di poetica, per un intellettuale tanto votato all’eclettismo. È quindi per via di analogia che Sinisgalli riusciva a conciliare poesia e scienza?
L’analogia ha un démone ma non è demoniaca: il suo è un démone ispiratore, un’inclinazione. Possiamo definirla, l’analogia, come quel procedimento del pensiero che sta alla base della metafora e dell’allegoria, quello che con Dante fa dell’esistenza un cammino, con Leopardi di una siepe l’evocazione del confine tra finito e infinito. Se le scienze procedono derivando in via logica (e idealmente rettilinea: il regolo dell’ingegnere è dritto) conclusioni da premesse, l’analogia concede alla ragione umana gli strumenti più arrotondati della similitudine, della proporzione, dell’approssimazione, del parallelismo (curva è la cetra del poeta) a integrare quelli appunto logici del rigore, dell’esattezza e dell’implicazione.
Sotto un titolo così suggestivo quel primo articolo di Sinisgalli non parlava però di logica e poesia. Esponeva gli esiti di un concorso che aveva messo in palio somme milionarie per chi fra i lettori avesse ideato i migliori cartelloni pubblicitari e i migliori slogan a proposito di due prodotti: la gommapiuma e lo pneumatico Gomma Bianca. Concorso aperto a tutti, in giuria tra gli altri Eugenio Montale, Sergio Solmi, Orio Vergani. Slogan vincitore: “Dieci nuvole per un guanciale”. Il démone che ispirava l’analogia soggiacente, secondo cui la gommapiuma è soffice come le nuvole, si dimostrava insomma servizievole anche per l’invenzione pubblicitaria e commerciale. Il regolo dell’ingegnere e la cetra del poeta non se la potevano vedere del tutto tra di loro, in una disputa o dialogo tra discipline alte e disinteressate come scienza e poesia: dovevano estendere la gamma dei loro interlocutori e considerare anche il pubblico, composto dai possibili utenti e acquirenti dei prodotti della tecnica.

Ecco perché sono tre (scienza, letteratura, comunicazione culturale) i paletti necessari a incorniciare il perimetro dell’attività di Sinisgalli. Il tre è il numero della relazione aperta e alla fine dei conti l’eclettismo di Sinisgalli risulta essere una specie di “poliglottismo” disciplinare. Gli consentiva infatti di dialogare (intendersi e farsi ben intendere) con critici letterari, con scienziati di prim’ordine, con capitani di industria e con cittadini comuni di una società ancora molto arretrata in termini culturali quando non già di pura e semplice alfabetizzazione.

Leonardo Sinisgalli era nato a Montemurro (Potenza) nel 1908. Suo padre Vito emigrò a Brooklyn e poi in Colombia, dove svolse attività di sarto; al rientro diventò agricoltore. Dare un’istruzione approfondita al figlio Leonardo non era nei suoi piani, né in quelli della famiglia. Fu l’attenzione dei docenti a notarne i meriti scolastici e a convincere i genitori ad avviarlo agli studi superiori, poi svolti a Caserta, Benevento, Napoli e infine a Roma. Già ingegnere laureato, nel 1934 vinse i littoriali per la poesia, precedendo in graduatoria Attilio Bertolucci e Pietro Ingrao. Nel 1937 cominciò la sua carriera aziendale con Pirelli, poi con Olivetti e quindi con Finmeccanica. Oggi diremmo che per queste grandi industrie egli “faceva comunicazione”, e in due sensi diversi dell’espressione. Un primo senso è quello della pubblicità vera e propria e Sinisgalli se ne occupò almeno fino al momento in cui, con suo grande rammarico, le aziende italiane non cominciarono ad avvalersi di agenzie esterne, secondo il modello americano. Nell’accezione più giornalistica e saggistica della parola, era però comunicazione anche la sua attività di direzione e redazione delle riviste aziendali, intese proprio a stabilire con il pubblico un colloquio più disteso e coinvolgente, privo di scopi immediatamente commerciali. Proseguiva intanto la sua produzione di versi e di saggi occasionali, che avrebbero poi composto soprattutto il suo “zibaldone”, un libro pubblicato nel 1944, ampliato nel 1950 e ancora rimaneggiato e che di Sinisgalli è probabilmente il capolavoro: “Furor mathematicus”.

Il “furor” è pure un démone, la mania che si impadronisce di un organismo umano: ma qui a invasare il soggetto non è più l’analogia bensì la matematica stessa. Come a dire che esiste anche il demone della scienza e che la scienza non appartiene di per sé, e in tutto e per tutto, ai domini della logica. Diciamo dunque che il confine tra logica e analogia non corrisponde a quello tra ragione e mania, tra scienza e poesia, come vorrebbe lo stereotipo. Scienza e poesia dialogano, si scambiano i ruoli. La poesia può e anzi deve avere il cursus di una dimostrazione, di uno sviluppo algebrico. Secondo un giudizio espresso da Contini la matematica è stata ciò che ha consentito a Sinisgalli di dare una «rappresentazione non convenzionale della realtà». La matematica non come «alta specializzazione tecnica» ma come «matrice d’invenzione» ed «enorme riserva euristica». Contini si riferiva a quella formula che Sinisgalli gli aveva confidato in una lettera del 1941: «cerca di approfondire quest’idea che mi sono fatto della poesia: un quantum, una forza, una estrema animazione, esprimibile mediante un numero complesso: a + bj». Qui ha

spiegato il démone, poco più avanti ha chiarito l’analogia: a e b sono quantità reali, j è un operatore matematico immaginario e il risultato è un vettore, cioè una forza attiva, mobile. Realtà più realtà potenziata dall’immaginario.

I capitoli del “Furor” hanno titoli come: “Quaderno di geometria”, “Carciopholus romanus”, “Arcadia delle macchine”. Tra questi colpisce: “Panorami per le orecchie”. Confrontandolo con l’espressione stabilizzata “panorami per gli occhi”, si comprende come l’operatore immaginario e irrazionale (qui rappresentato dalla sinestesia: panorami non visivi ma uditivi) dia mobilità alla lingua, la tolga dalla quiete inerte dell’uso, inneschi la fantasia di chi legge, contagiandola con quella di chi scrive.

Non deve meravigliare, allora, se è proprio di Sinisgalli e se proviene proprio dal suo “Furor mathematicus” la citazione più interessante che il “Grande Dizionario della Lingua Italiana” di Salvatore Battaglia dedica al termine: creativo. Il termine era sino ad allora usato pochissimo e non nel senso in cui oggi è comune, ma con maggiore vicinanza alla creazione biblica. Avrebbe cominciato a circolare velocemente e ubiquo soltanto a partire dallo stesso 1950 in cui Sinisgalli pubblicava il suo zibaldone, quando cioè Paul J. Guilford aprì il congresso dell’Associazione americana di psicologia da lui presieduto

con una prolusione a proposito della creatività. Ormai del tutto depurato da riferimenti mistici, il termine avrebbe cominciato a diffondersi durante gli anni Sessanta per diventare prima una bandiera concettuale dei movimenti di contestazione e poi, dagli Ottanta, la parola d’ordine della comunicazione massmediale. Oggi la creatività riguarda qualsiasi sfera dell’azione umana.

Nel 1950 Sinisgalli, parlando di un Leonardo che era quello da Vinci, diceva: «L’attenzione di Leonardo fu rivolta a scoprire, a indagare, a coordinare alcuni fenomeni tipici della persona poetica. Si potrebbe dire ch’egli ci diede i primi suggerimenti per comporre una fisiologia del poeta. Capì innanzitutto la fulmineità dell’atto creativo». Al di là dell’omonimia, che certo non ha mancato di suggestionarlo, a quel da Vinci quest’altro Leonardo novecentesco era particolarmente legato. La tesi di laurea in ingegneria industriale era il progetto di un aereo e proprio dagli studi leonardeschi sul volo Sinisgalli estraeva una “Poetica di Leonardo”: «Come noi guardiamo un paesaggio tutta la vita, il corso di un fiume che il tempo muta solo insensibilmente, per trent’anni Leonardo ha letto nell’aria un’animazione che ci sfugge: correnti, vortici, crinali, linee, superfici, piste e colonne, un crepitare di punti vivi, un edificio elastico, “piramidale”. Precisamente è la parte che sta al di qua dell’azzurro che ha interessato Leonardo, dove c’è aria, nubi e la nazione degli uccelli. A lui dunque non premeva l’azzurro del cielo, né il di là dell’azzurro dov’è l’orrendo dominio infinito. Nei suoi scritti sul volo non siamo riusciti a trovare una sola riga di esaltazione del canto degli uccelli». Sinisgalli riferisce poi che è solo in una nota datata 1505 che Leonardo, ormai più che cinquantenne, scrive di essersi rassegnato: avrebbe continuato a studiare il volo ma ormai rinunciava all’ambizione di volare egli stesso.

Per creature che la gravità e l’anatomia condannano a tenere i piedi per terra, il volo è l’analogo universale e perenne della libertà, della fantasia, del sogno. Ma appunto c’è il volo di Pindaro e c’è quello di Dedalo, che è anche quello poi di Leonardo, poi dei fratelli Montgolfier e poi dei Wright. Il bello avviene quando le due rotte si incrociano; quando lo scienziato si incuriosisce della fisiologia del poeta e quando il poeta si accorge che il volo ha una possibile scienza.

Nel precedente leonardesco Sinisgalli trovò l’incoraggiamento a trattare scientificamente gli elementi irriducibili alla ragione presenti nella poesia, come la matematica sa appunto fare dei suoi numeri immaginari e irrazionali. A rendere attiva, mobile e quindi poetica la lingua è un quantum di irrazionale e di indeterminabile che pure possiamo far entrare nelle nostre espressioni e quindi nei nostri ragionamenti.

L’analogia proporzionale partecipa di entrambi i versanti: è creativa e al tempo stesso si fonda su una ratio (in latino: proporzione). Forse è proprio questo doppio funzionamento ciò che continuerà a metterla, l’analogia creativa, fuori dalla portata degli automi.

Con la sua immaginazione, il suo linguaggio allusivo e coinvolgente, i cortocircuiti analogici a cui il suo démone personale lo induceva, Sinisgalli ha delineato in tempi durissimi una possibile civiltà per l’essere umano nell’era della tecnica

Ci suggerisce di costruire automi continuando però a seguire i nostri démoni umani, senza mai pensare di consegnarci interamente né agli uni né agli altri. Forse non lo abbiamo ancora letto abbastanza.