Universalismo o competizione nello spazio
Lo spazio rappresenta l’incarnazione del mito prometeico della sfida dell’uomo ai propri limiti attraverso l’uso della tecnologia.
È la mitologia con cui oggi le nazioni raccontano la propria potenza, dimostrando a sé stesse e al mondo di primeggiare. Una superiorità che prima di essere tecnologica è geopolitica. Primeggiare nello spazio significa, innanzitutto, primeggiare sulla Terra. Già al tempo di Wernher von Braun, scienziato al servizio della NASA nel secondo dopoguerra, durante la contrapposizione tra la potenza statunitense e quella sovietica, la conquista dello spazio è stata uno strumento di propaganda delle nazioni per «far vedere al mondo e anche alla propria popolazione di cosa fossero in grado di fare con questa tecnologia così complessa e, di certo, non alla portata di tutti (…) far vedere chi è più capace, più bravo, sfruttando un campo neutro».
Dal dopoguerra a oggi, con fasi alterne, in ossequio a questa dottrina geopolitica, sono state investite nel tempo ingenti risorse, non giustificate dalla sola rincorsa tecnologica. Alla fine della guerra fredda, dopo la caduta del muro di Berlino, la Stazione spaziale internazionale diventa il simbolo dell’unione delle capacità delle due super potenze mondiali di pensare a un futuro di collaborazione e non di contrapposizione per l’esplorazione di questa nuova frontiera, fuori dalla nostra atmosfera.
Da qui, il passo è breve per ipotizzare la colonizzazione di nuovi pianeti. Se guardiamo al nostro pianeta e a quello che ci sta intorno e soprattutto alla distanza a cui si trovano le altre stelle potenzialmente vivibili, è prevedibile che per un bel po’ la Terra sarà l’unico luogo abitabile. In questo senso, le parole dell’astronauta olandese Wubbo Ockels, «siamo tutti astronauti e il nostro primo dovere è occuparci della nostra astronave», sono estremamente illuminanti per comprendere le potenzialità di una vera colonizzazione spaziale. È sufficiente riflettere sulla nostra difficoltà di creare insediamenti in Antartide o sui fondali marini, per rendersi conto di quanto sia ancora distante la realizzazione di insediamenti stabili. Siamo ancora nell’ambito della scienza e dello sviluppo di nuova conoscenza. Artemis, con il Lunar Gateway, è un progetto che probabilmente nel giro di qualche decennio porterà a una colonizzazione della Luna o di Marte da parte dell’uomo, ma sicuramente non come una colonia da abitare nel senso terrestre del termine.
Da lì in poi, si sono portati avanti molti studi ma di vera esplorazione non si è più parlato. C’è stata, invece, un’esplosione dell’uso utilitaristico dello spazio: sono stati messi a disposizione i Global Navigation Satellite System, sono stati incrementati i sistemi di telecomunicazioni, c’è stata una crescita delle attività di osservazione della Terra, non più a scopo unicamente di spionaggio, ma anche di supporto all’agricoltura, alla scoperta delle risorse, al monitoraggio e alla tutela dell’ambiente. Lo spazio è quindi la dimensione delle telecomunicazioni, della geolocalizzazione e dell’osservazione della Terra. Nati con una valenza utilitaristica di controllo e sorveglianza, oggi i Satellite System rappresentano l’infrastruttura fondamentale per la trasmissione di informazioni, la navigazione e l’osservazione della Terra, soprattutto in chiave di supporto alle nostre attività (per esempio scoperta di nuove risorse, agricoltura), di monitoraggio e di tutela dell’ambiente.
Esplorazione, colonizzazione e monitoraggio della Terra e degli altri pianeti sono le dimensioni in cui è articolato il nostro modo di guardare allo spazio. Lo sviluppo delle tecnologie per dominare tali dimensioni – o anche solo alcune di queste – è il nuovo terreno del “grande gioco” in chiave contemporanea. L’estrema complessità sottesa alle tecnologie dello spazio obbliga l’uomo a strutturare conoscenze e tecnologie molto articolate, trovando soluzioni non convenzionali, innovative.
La dimensione della costrizione e del superamento dei propri limiti è alla base di tutti i percorsi di innovazione. Gli esempi della Formula 1 o degli aerei sono rappresentativi di questa rincorsa a prestazioni sempre più estreme che hanno spostato i limiti delle nostre capacità. In campo letterario, un esempio emblematico della costrizione che genera innovazione può essere la “Divina Commedia” di Dante o l’opera letteraria di Shakespeare, dove entro i limiti della terzina endecasillaba e del pentametro giambico sono state realizzate delle opere dal valore universale per l’intera umanità.
Ecco, lo spazio è la dimensione per eccellenza del superamento del limite. L’elemento di costrizione è immanente e sistemico. La fisica si maniesta nella complessità. Newton, Einstein, Feynman hanno sviluppato le leggi della fisica proprio confrontandosi con le estreme conseguenza della fisica nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo.
Alcuni esempi sono utili per comprendere la profondità e l’ampiezza delle conoscenze frutto del confronto con lo spazio. La rincorsa alla miniaturizzazione delle nostre tecnologie a partire dai microprocessori e dai nuovi materiali nasce dalla necessità di creare capacità sempre più performanti in spazi sempre più piccoli. Questa evoluzione la conosciamo attraverso i microprocessori che hanno portato allo sviluppo dei nostri smartphone, così come dei nostri supercomputer. O, ancora, allo sviluppo della fibra di carbonio o del grafene, materiale bidimensionale dalle proprietà multiple (conduzione elettrica e di calore, leggerezza, resistenza, asetticità). Nell’industria aerospaziale la miniaturizzazione ha consentito la realizzazione dei sistemi di guida dei missili o degli holter usati in cardiologia per il controllo della salute degli astronauti. O, ancora, di internet e di tutti i protocolli di comunicazione più evoluti. La tecnologia sviluppata/applicata sulla Terra viene testata e certificata a un livello superiore per poter essere impiegata nello spazio in termini di resistenza, peso, spessore, potenza, ridondanza di sistemi, autonomia, quasi assenza di manutenzione.
Oggi siamo su un piano di sostanziale equivalenza tra Cina e Occidente. Il punto di riflessione è però che la Cina è entrata nella competizione da poco più di un decennio, bruciando letteralmente le tappe. In questo lasso di tempo è riuscita a me ere in orbita la propria stazione spaziale, è in grado di trasferire a bordo i propri astronauti, di riportarli indietro e di rifornire la stazione. I pionieri di questa dimensione, al contrario, sembrano risentire di un po’ di inerzia, con progetti concepiti durante la guerra fredda o dopo la caduta del muro di Berlino, come per esempio quello americano di Skylab o russo di Mir, entrambi evoluzioni incrementali di programmi del dopoguerra o ancora del programma della ISS – Stazione spaziale internazionale – che prevede l’integrazione delle capacità tra Stati Uniti, Europa, Russia, Giappone e Canada.
Americani e russi si sono adagiati sugli allori anche sull’esplorazione della Luna, dopo la rincorsa che portò gli statunitensi a porvi nel ’69 la prima impronta. I cinesi possono vantarsi oggi di essere stati i primi ad a errare sul lato oscuro della Luna, dove hanno posizionato un satellite Relay in grado di ricevere e trasmettere il segnale, avendo la possibilità quindi di gestire eventuali allunaggi. Questo significa avere il primo nucleo di infrastruttura per una possibile colonizzazione.
In questa evoluzione, nella narrazione del grande gioco dello spazio, si comincia a intravedere uno spostamento dalla dimensione del progresso dell’essere umano a quella della superiorità competitiva di una popolazione rispetto alle altre. Quando pensiamo alla prima fase di questa avventura è sempre prevalso il concetto di umanità e tutti i programmi spaziali hanno avuto una connotazione universalistica. Non a caso dalla Stazione spaziale è arrivato un appello alla pace nei giorni di guerra guerreggiata. L’eventuale perdita di questa dimensione potrebbe aprire un nuovo fronte di conflittualità fra nazioni, a discapito di un’area storica di collaborazione e condivisione di conoscenze. Conoscenze che oggi giocano un ruolo fondamentale per la difesa del nostro pianeta alla luce del cambiamento climatico e dell’impatto delle attività antropiche.
Lo spazio, quindi, non è solo tecnologia e conoscenza scientifica. È anche un percorso riflessivo dell’umanità verso una nuova consapevolezza. Così come nel passato, l’uomo alzando gli occhi al cielo ha sviluppato i propri miti, le proprie metafore e le proprie leggi morali, dandosi un posto nell’universo, oggi – osservando la sua dimora dall’alto – sta riconsiderando il proprio agire nel mondo.
Gli astronauti stanno fornendo una fotografia del pianeta Terra dalla connotazione fortemente simbolica, da cui sta nascendo una nuova consapevolezza del nostro ruolo. Abbiamo compreso la fragilità del nostro ecosistema, protetto dal sottilissimo e fragile guscio dell’atmosfera. In questa accezione lo spazio non solo ci consente di allargare gli orizzonti, ma costringe a guardarci dentro in un movimento riflessivo necessario per costruire le basi del futuro dell’umanità, rinnovando il patto con la natura. Forse, oggi, questa è la dimensione a cui dovremo guardare con maggiore attenzione.
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